Incarico a professionista provato tramite mail

Pubblicato il 25 gennaio 2017

Le comunicazioni via mail o fax possono avere valenza dimostrativa dell’incarico conferito dal cliente al professionista.

E’ quanto emerge da una recente pronuncia di Cassazione che ha cassato, con rinvio, la decisione con cui i giudici di merito avevano revocato il decreto ingiuntivo ottenuto da un professionista per la somma asseritamente dovutagli da un cliente, quale compenso per le prestazioni professionali di consulenza ed assistenza espletate.

L’ingiunta, una società, si era opposta al decreto ingiuntivo a lei notificato, negando di aver mai affidato l’incarico al tecnico.

A questa aveva dato ragione anche la Corte d’appello la quale, confermando il giudizio già reso in primo grado, aveva dichiarato indimostrato l’affidamento del mandato professionale.

Vizio di motivazione

Ciò – aveva lamentato il professionista nel proprio ricorso promosso in sede di legittimità – nonostante i testi sentiti nel corso dell’istruttoria avessero confermato la sua presenza presso i locali della società e nonostante fossero state depositate in atti comunicazioni via fax e via mail intervenute tra le parti, confermative del mandato medesimo.

E la Corte di cassazione ha ritenuto fondato il vizio di motivazione denunciato dal professionista, sottolineando che, immotivatamente, la Corte di secondo grado non aveva indicato le ragioni per le quali le comunicazioni mail e fax allegate fossero da ritenere prive di valenza dimostrativa dell’incarico oggetto della lite.

Mancava, altresì, una valutazione specifica e logicamente argomentata sulle deposizioni dei testi.

Dal ragionamento contenuto nella sentenza impugnata, ossia, emergeva la “totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero l’obiettiva carenza del procedimento logico che ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al relativo convincimento”.

Prova incarico anche con presunzioni

Nel testo della pronuncia, la Seconda sezione civile di Cassazione – sentenza n. 1792 del 24 gennaio 2017 – ha quindi ricordato come la prova del conferimento dell’incarico professionale, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di siffatto rapporto, può essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni.

Compete, poi, al giudice di merito, valutare se, in concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il relativo accertamento al sindacato di legittimità “se adeguatamente e coerentemente motivato”.

Sussiste, quindi, vizio di motivazione se, nel ragionamento del giudice, sia riscontrabile il mancato o carente esame di punti decisivi della controversia.

Per la Suprema corte, in particolare, risulta sindacabile in sede di legittimità la motivazione del percorso logico giuridico dell'organo giudicante quando – come nella specie – siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva portata indiziante.

 

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