Illegittimo il licenziamento del lavoratore allontanatosi dal luogo di lavoro per andare in palestra se la condotta è stata rilevata a seguito di controllo tramite agenzia investigativa esterna.
Tale tipo di controllo, infatti, deve limitarsi agli atti illeciti del dipendente non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione, riservato, quest'ultimo, al controllo diretto del datore e dei suoi collaboratori.
Priva di rilievo la circostanza che l'attività investigativa mediante controllo esterno sia stata occasionata da analogo e legittimo controllo nei confronti di altro dipendente.
E' stato accolto, dalla Corte di cassazione, il ricorso promosso da un bancario contro la decisione di merito confermativa del licenziamento disciplinare intimatogli dall'istituto di credito, datore di lavoro.
Al dipendente, la cui attività lavorativa era connotata da una certa flessibilità riguardo all'orario e alla sede di svolgimento delle mansioni, era stato addebitato di essersi allontanato dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale.
Tale condotta era stata accertata mediante controlli effettuati da agenzia investigativa, la quale aveva registrato incontri estranei all'area di lavoro (supermercati e palestre), non connessi all'attività lavorativa del prestatore, in luoghi distanti anche decine di chilometri dalla sede lavorativa.
Le investigazioni che avevano interessato il ricorrente erano sorte nell'ambito di una più ampia indagine su una collega, avente ad oggetto la violazione dei permessi ex Legge 104/92, collega con la quale il deducente era stato ripreso più volte.
La Corte d'appello aveva ritenuto legittimi i predetti controlli, giudicando infondati anche i rilievi sollevati dal lavoratore in ordine al mancato rispetto dell'obbligo di consegna, al medesimo, della connessa documentazione.
L'uomo si era rivolto alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, violazione e falsa applicazione di legge in relazione al controllo della prestazione lavorativa mediante investigatori privati esterni: secondo la sua difesa, il predetto controllo avrebbe dovuto limitarsi agli atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione da parte del lavoratore, non potendo sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata dall'art. 3 dello Statuto dei lavoratori al controllo diretto del datore e dei suoi collaboratori.
Le relative doglianze sono state accolte dalla Sezione Lavoro della Cassazione, pronunciatasi, nella vicenda in esame, con ordinanza n. 25287 del 24 agosto 2022.
In primo luogo, gli Ermellini hanno rammentato i principi già enunciati in sede di legittimità in ordine alla portata degli articoli 2 e 3 della Legge n. 300/70.
Articoli, questi, che delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore e in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, vale a dire per scopi di tutela del patrimonio aziendale e di vigilanza dell’attività lavorativa.
Tali disposizioni non precludono - ha continuato la Corte - il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti esterni - quale, come nella specie, l’agenzia investigativa - sebbene il controllo non possa riguardare, in alcun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, sottratta a tale vigilanza.
Il controllo esterno, dunque, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione.
In tale contesto, l'attività investigativa mediante controllo esterno, anche se occasionata da analogo e legittimo controllo nei confronti di altro dipendente, esplicandosi nell'orario di lavoro del ricorrente, ossia durante l'espletamento della sua attività lavorativa, finisce con l'incidere direttamente e, quindi, al di fuori de limiti consentiti, su detta attività.
Per finire, la Suprema corte ha riconosciuto fondato anche il motivo di impugnazione riguardante la mancata consegna, al dipendente, della documentazione relativa al controllo effettuato.
Sul punto, i giudici di Piazza Cavour hanno ricordato la necessità, nell'ambito del procedimento disciplinare, che il datore di lavoro, pur non essendovi obbligato, offra all'incolpato la documentazione necessaria al fine di consentirgli un'adeguata difesa, e ciò in base ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto.
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