Il Consiglio di Stato, terza sezione, è stato nella specie chiamato a decidere in ordine alla portata ed estensione del nuovo istituto, introdotto con Legge 162/2014 art. 12, che consente la separazione personale tra i coniugi e lo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio avanti al Sindaco, quale ufficiale dello stato civile.
Il suddetto articolo 12, come noto, ha difatti dato il via ad una procedura semplificata - alternativa alla tradizionale strada di tutela giurisdizionale – interamente “autogestita” dai coniugi, a condizione che gli stessi non abbiano figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave oppure economicamente non autosufficienti.
Oggetto specifico del presente giudizio, in particolare, è la circolare con cui il Ministero dell’Interno ha fornito indicazioni applicative, alla stregua delle quali l’accordo dinanzi al Sindaco non può prevedere patti di trasferimento patrimoniale, precludendo così ai coniugi di rivolgersi all'ufficiale di stato civile quando il loro accordo contempli siffatti patti.
L’ambigua formulazione del dettato normativo (che si riferisce genericamente a tutti i patti di trasferimento patrimoniale) ha dato vita a due contrapposte tesi interpretative: una restrittiva, per la quale sarebbero vietati i soli trasferimenti di beni una tantum; l’altra estensiva, che amplia l’area del divieto a tutti gli accordi economici, anche quelli che prevedano la corresponsione periodica di danaro mediante un assegno per il mantenimento del coniuge più debole.
Ed il Consiglio di Stato – chiamato appunto a dirimere detto contrasto - ha aderito alla prima delle interpretazioni (c.d. restrittiva del divieto). Il concetto di “trasferimento” – a suo dire – non si riferisce difatti a tutte le modifiche del patrimonio, per cui sono proibiti i soli patti ad effetti reali, che i coniugi possono inserire tra le condizioni economiche connesse alla separazione o al divorzio. Non sono invece vietati gli accordi ad effetti obbligatori, quali ad esempio l’obbligo di corrispondere periodicamente un assegno a titolo di mantenimento in favore dell’altro coniuge.
Diversamente ragionando infatti – prosegue il Consiglio con sentenza n. 4478 del 26 ottobre 2016 – l’operatività dell’istituto in questione, sarebbe irragionevolmente limitata, contro la ratio della stessa norma, ai soli accordi che, in sostanza, modifichino lo status dei coniugi, con esclusione di ogni pattuizione economica.
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