Laddove la fattispecie incriminatrice faccia espresso riferimento alla titolarità dell'impresa, il confine tra reato e illecito amministrativo dipende non solo dalla qualifica formale di imprenditore ma anche dallo svolgimento di fatto di attività sostanzialmente imprenditoriali.
In altri termini, quando la norma richiama la titolarità dell'impresa, non intende riferirsi solo alla persona formalmente iscritta nel registro delle imprese, ma anche a chi sia titolare ed eserciti attività di fatto imprenditoriali, anche se non registrate e sconosciute al Fisco.
Ne discende che l'autore della condotta può essere sia l'imprenditore, sia colui che eserciti, di fatto, una delle attività indicate dagli articoli 2135 e 2195 cod. civ.
E così:
Si tratta, in questa seconda ipotesi, di accertamenti di fatto di competenza del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità se non nei termini di legge.
E' quanto sancito nel testo della sentenza n. 33410 del 31 luglio 2023, con cui la Suprema corte si è pronunciata, dichiarandolo inammissibile, sul ricorso avanzato da un uomo, condannato del reato di trasporto abusivo e di abbandono di rifiuti non propri, commesso con modalità imprenditoriali e certamente non occasionali.
Il reato di cui all'art. 256, comma 2, D. Lgs. n. 152/2006 - si legge nella decisione - è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell'esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale dell'agente o della natura dell'attività medesima.
Tale fattispecie di reato, ossia, può essere commessa da qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 cod. civ., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto.
Come sopra evidenziato, infatti, non è soltanto la qualifica formale di imprenditore a tracciare il confine tra il reato e l'illecito amministrativo, bensì anche lo svolgimento di fatto di attività sostanzialmente imprenditoriali.
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