L’immutabilità della contestazione disciplinare impedisce al datore di lavoro, ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 300/1970, di introdurre in giudizio circostanze nuove rispetto a quelle contestate al momento del licenziamento, al fine di garantire l'effettivo diritto di difesa al lavoratore incolpato.
Questo è il principio ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 16332 del 3 luglio 2017, a proposito di un provvedimento disciplinare espulsivo a carico di una lavoratrice in cui, in fase di contestazione disciplinare, il datore di lavoro aveva fatto espresso riferimento ad una condotta commissiva addebitata alla stessa mentre, in fase giudiziale, la società aveva fatto esclusivo riferimento ad errate istruzioni che la lavoratrice aveva impartito ad altra dipendente per le analisi da svolgere nei periodi di sua assenza.
A tal proposito, la Corte ha osservato che, nel caso di specie, tra la contestazione dell'addebito formulata in sede disciplinare e la difesa giudiziale spiegata dalla società datrice di lavoro si ravvisano delle diverse coordinate topico-temporali, in evidente violazione del citato art. 7 della Legge n. 300/1970, sotto il profilo della non corrispondenza tra quanto contestato e posto a fondamento del recesso e quanto divenuto oggetto dei giudizio di merito, con evidente violazione del diritto di difesa della dipendente.
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