Qualora un CCNL preveda espressamente che il provvedimento disciplinare non venga adottato entro i 10 giorni lavorativi successivi alla scadenza del termine concesso al lavoratore per fornire le proprie giustificazioni (cinque giorni dal ricevimento della contestazione), tali giustificazioni si riterranno accolte; l'aver consapevolmente lasciato decorrere il termine per l'adozione del provvedimento disciplinare non può che essere significativo, sulla scorta della previsione pattizia oltre che dei principi di buona fede e correttezza che presidiano il rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., della intervenuta accettazione da parte del datore di lavoro delle giustificazioni fornite dal lavoratore.
Questo è quanto ha sentenziato la Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 21569 del 3 settembre 2018), specificando che in tale situazione il datore di lavoro ha sicuramente la possibilità di dimostrare l'eventuale impossibilità di rispettare il termine contrattualmente previsto ma, in caso contrario, il ritardo nell’irrogazione della sanzione, contravvenendo un silenzio che vale come accettazione delle difese del lavoratore, si risolve in un venire contra factum proprium, contrario alla clausola di buona fede che presidia il rapporto di lavoro.
Nel caso di specie, il licenziamento intimato nella vigenza della disciplina introdotta dalla Legge n. 92/2012, deve perciò considerarsi non semplicemente inefficace per il mancato rispetto di un termine procedurale, dunque per motivi solo formali, bensì illegittimo per l'insussistenza del fatto contestato per avere il datore di lavoro accolto le giustificazioni a discolpa del dipendente, dunque per la totale mancanza di un elemento essenziale della giusta causa.
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