Il risarcimento non va duplicato nel caso di danno alla sfera sessuale
Pubblicato il 15 settembre 2010
La Terza sezione civile della Cassazione, con sentenza n. 19517 del 14 settembre 2010, ha rigettato la domanda di riconoscimento dei danni morali ed esistenziali avanzata dalla moglie e dalla figlia di un uomo, vittima di un incidente sul lavoro, nei confronti del datore di lavoro di quest'ultimo. Le donne lamentavano che i giudici dei gradi precedenti avessero liquidato loro solamente il danno non patrimoniale, calcolandolo in maniera generica ed omettendo di pronunciarsi sulle altre voci di danno.
Secondo la Corte di legittimità, tuttavia, i giudici di merito avevano correttamente applicato il principio ormai consolidato (sentenza a Sezioni unite 26972 del 2008) secondo il quale “il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia e omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dal danneggiato, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi e pregiudizi identici, sia che il danno biologico, il danno morale, quello alla vita di relazione e quello cosiddetto esistenziale, devono essere valutati unitariamente nella voce del danno non patrimoniale”.
In particolare, poi, nella valutazione equitativa del danno subito, la sentenza impugnata aveva anche tenuto conto delle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto e, nel dettaglio, del danno alla sfera sessuale conseguente all'infortunio.