Il padre disconosce dopo tanti anni. Figlio e nipoti vanno risarciti

Pubblicato il 03 agosto 2015

Con sentenza n. 16222 depositata il 31 luglio 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha statuito in ordine alla vicenda per cui, un padre, dopo moltissimi anni, aveva impugnato per difetto di veridicità, ex art. 263 c.c., l'atto di riconoscimento del proprio figlio.

Quest'ultimo, opponendosi alla richiesta di verificazione del rapporto di filiazione, aveva avanzato domanda riconvenzionale di risarcimento (e così, anche le di lui figlie) per il danno provocatogli dal padre legittimo, a prescindere dall'esito del giudizio.

Il Tribunale dapprima – prendendo atto che le C.t.u. avevano effettivamente riscontrato una incompatibilità dei profili genetici di padre e figlio – aveva confermato il difetto di veridicità del riconoscimento e dichiarato l'inammissibilità delle conseguenti richieste risarcitorie di figlio e nipoti.

La Corte d'Appello, viceversa, aveva accolto le richieste di questi ultimi, ritenendo infondata la sollevata eccezione di prescrizione della domanda, non potendo – a suo dire - il termine di prescrizione, decorrere (data la natura del danno lamentato) dal momento dell'impugnazione del riconoscimento di paternità. La Corte territoriale aveva dunque ritenuto configurabile il danno patrimoniale a carico di figlio e nipoti e ne aveva disposto la liquidazione.

Avverso questa decisione, il padre ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte ha tuttavia respinto ogni sua censura, negando innanzitutto (a conferma del verdetto di secondo grado) l'avvenuta prescrizione dell'azionata domanda di risarcimento, sull'assunto per cui, maggiore è il lasso di tempo che intercorre tra il riconoscimento e l'impugnazione di esso, maggiore sarà la lesione del diritto alla personalità che ne discende (la quale, con il tempo, si consolida).

La Cassazione ha parimenti respinto l'eccezione circa la carenza di prova in ordine al'esistenza ed all'ampiezza del danno lamentata.

Invero, la Corte territoriale ha correttamente riscontrato come il disconoscimento (soprattutto se a distanza di molti anni, come nel caso di specie), si ripercuota fortemente sull'interessato, privandolo della coscienza di sé e recidendo i legami affettivi consolidati durante una vita, senza possibilità di recuperarne altri.

Pertanto – ha dato atto la Cassazione – i giudici distrettuali, ai fini dell'accordato risarcimento, hanno adeguatamente dato rilievo alla sofferenza morale di chi, dopo tanti anni, è oggetto di un disconoscimento della propria identità personale, lesiva della dignità ed ablativa del contesto familiare in cui ha da sempre vissuto.

La dignità della persona in conformità con l'opinione del gruppo sociale, costituisce un diritto costituzionalmente garantito. Da qui il riconoscimento del danno non patrimoniale ex art. 2059, a prescindere dalla inquadrabilità del fatto ex art. 185 c.p.  

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