Il disegno di legge presentato al Senato che prevede una durata limitata per i processi, penali, civili, amministrativi, comporterà effetti dirompenti anche per la legge Pinto.
Il provvedimento ha ridisegnato i tempi in cui devono svolgersi i processi, oltre i quali le cause saranno considerate di durata irragionevole; pertanto solo dopo il trascorrere di questo periodo le parti potranno richiedere l’equo indennizzo.
Il processo avrà un tempo limite di due anni per ogni grado di giudizio, quindi 6 anni, che può aumentare di un anno se avviene il rinvio da parte della Corte di cassazione; inoltre i termini potranno subire un ulteriore aumento pari alla metà da parte dell’autorità giudiziaria. Il Ddl fissa con precisione il momento iniziale in cui il processo può considerarsi iniziato: l’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione per la lite civile; la data di deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza per le liti societarie; il giorno del deposito del ricorso introduttivo per la lite amministrativa; il rinvio a giudizio nel caso di processo penale.
Ma le novità non terminano qui, introducendo il suddetto Ddl, un importante adempimento a carico della parte la quale, per non incorrere nella sanzione di dover rinunciare alla richiesta di indennizzo per durata eccessiva del processo, sarà tenuta 6 prima della scadenza del termine considerato dal Ddl ragionevole, a presentare un’istanza di sollecito, contenente la richiesta che la causa sia definita al più presto, al magistrato.
Mancando tale istanza si considera la parte non più interessata alla vicenda giudiziaria con rigetto di qualsiasi eventuale domanda di risarcimento di indennizzo per irragionevole durata del processo. A seguito della presentazione di questa istanza dovrà iniziare una corsia preferenziale presso l’ufficio del giudice presso cui staziona la causa il cui compito sarà di arrivare alla definizione della causa entro i successivi 6 mesi, con un consistente aggravio per il carico di lavoro delle aule giudiziarie.
Altra considerazione che non mette in buona luce il nuovo impianto normativo è il mancato rispetto delle indicazioni fornite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo prima fra tutte quella che nel calcolo dei tempi processuali non tiene conto della fase di esecuzione della pronuncia che, a parere della Corte, va considerata parte del processo.
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