Licenziamento per rifiuto di trasferimento è legittimo

Pubblicato il 19 giugno 2018

La Cassazione ha confermato una decisione di merito con cui erano stati ritenuti legittimi dei licenziamenti disciplinari intimati ad alcuni lavoratori a seguito del rifiuto di questi di ottemperare all'ordine di trasferimento in altre sedi.

Era stato escluso, in particolare, che nella condotta della società datrice di lavoro, potesse ravvisarsi una violazione dei principi di correttezza e buona fede e che, quindi, si fosse concretizzata una fattispecie di abuso del diritto.

Non era stata condivisa, in questo contesto, la tesi dedotta dei dipendenti, i quali lamentavano che la comunicazione dei trasferimenti fosse stata accompagnata da pressioni affinché i lavoratori, sottoscrivendo un verbale di conciliazione in sede sindacale, accettassero il licenziamento a fronte di un incentivo in denaro.

Abuso del diritto: quando è ravvisabile?

Nel pronunciarsi in ordine alla vicenda in esame, la Suprema corte, con sentenza n. 15885 del 15 giugno 2018, ha dapprima ricordato che l'abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi.

Per contro – ha continuato - si può parlare di abuso quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi e ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti.

Trasferimento in sede lontana non basta per provare l’abuso

Orbene, secondo gli Ermellini, nel caso esaminato la Corte d’appello non si era discostata dall'osservanza di tali principi, né, d'altra parte, i lavoratori ricorrenti avevano chiarito, in sede di impugnazione, se e in quali termini la conclusione contenuta nella decisione di merito costituisse la conseguenza di errori in iudicando nell'applicazione della nozione giurisprudenziale di abuso del diritto e nella definizione dei limiti dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto.

Nella specie – ha precisato la Sezione lavoro della Cassazione – la decisione impugnata aveva escluso l'esistenza di un'ipotesi di abuso del diritto, da parte del datore di lavoro, su un duplice rilievo:

Rilievi, questi, che non avevano tuttavia formato oggetto di idonea censura, non avendo, i ricorrenti, provveduto ad allegare elementi "ulteriori", rispetto alla lontananza delle sedi; parimenti, non era stato nemmeno dedotto che, diversamente da quanto accertato nella sentenza impugnata, i lavoratori non avessero potuto disporre di una condizione di libera e consapevole autodeterminazione.

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