Il fornitore paga per il cliente

Pubblicato il 25 agosto 2008 Ove consapevole della falsità ideologica della dichiarazione d’intento (che, cioè, il suo cliente non possiede i requisiti per essere considerato esportatore abituale), il fornitore deve, per il cliente, l’Iva e le relative sanzioni. Così la pronuncia di Cassazione n. 16819/08, che punisce la connivenza del fornitore con il cessionario responsabile dell’organizzazione di una “frode carosello”. Con una motivazione che lascia perplessi, tanto per l’individuazione dei requisiti essenziali delle cessioni ad esportatori abituali quanto per aver considerato la consegna della merce in territorio italiano una prova idonea a dimostrare la consapevolezza del fornitore in ordine alla falsità della dichiarazione d’intento, la Corte ha affermato che per potersi applicare il regime di non imponibilità Iva proprio delle vendite a esportatore abituale di cui all’articolo 8, lettera c, del Dpr n. 633/72, non sarebbe suffficiente la dichiarazione d’intento dell’acquirente, ma necessario “soprattutto, che l’operazione sia, oggettivamente, destinata all’esportazione”. La mancata esportazione della merce, in concreto, dimostrerebbe l’anomalia delle operazioni e la consapevolezza del cedente circa la falsità delle dichiarazioni d’intento.
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