Nelle ipotesi di grave malattia psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza deve poter disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare.
Lo ha sancito la Corte costituzionale nel testo della sentenza n. 99 del 19 aprile 2019.
I giudici costituzionali, in particolare, hanno dichiarato l’illegittimità dell’art. 47-ter, comma 1-ter, della Legge n. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter.
Per la Consulta, ossia, nei casi in cui durante la carcerazione si manifesti una grave malattia di tipo psichiatrico, il giudice deve poter disporre che il detenuto venga curato fuori dal carcere concedendogli, anche quando la pena residua sia superiore a quattro anni, la misura alternativa della detenzione domiciliare “umanitaria”, o “in deroga”, così come già accade per le gravi malattie di tipo fisico.
L’organo giudicante, ossia, dovrà valutare se la malattia psichica sopravvenuta sia compatibile con la permanenza in carcere del detenuto oppure richieda il suo trasferimento in luoghi esterni (abitazione o luoghi pubblici di cura, assistenza o accoglienza) con modalità che garantiscano la salute, ma anche la sicurezza.
Si tratta di una valutazione che dovrà tener conto di vari elementi, quali:
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