Patrocinio a spese dello Stato: costituzionalmente illegittima la norma del TU sulle spese di giustizia che non consente, al cittadino di Stato non Ue, di presentare, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di certificazione sui redditi prodotti all’estero, qualora dimostri, provando di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo correttezza e diligenza, l’impossibilità di produrre la richiesta documentazione.
Con sentenza n. 157 del 20 luglio 2021, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 79, comma 2, del Testo unico sulle spese di giustizia (DPR n. 115/2002), nella parte in cui non consente al cittadino extraUe, nel caso sia impossibilitato a presentare la documentazione richiesta al fine di ottenere il patrocinio, di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione.
Sono state accolte, in particolare, le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal TAR per il Piemonte, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione.
La disposizione censurata prevede, ai fini dell'accesso al gratuito patrocinio, che per i redditi prodotti all’estero, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea sia tenuto a corredare l’istanza con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato.
Secondo la Corte, una previsione, come quella censurata, che fa gravare sull’istante il rischio della impossibilità di produrre una specifica prova documentale richiesta per ottenere il godimento del patrocinio a spese dello Stato, si pone in contrasto con le norme della Costituzione.
Essa, infatti, impedisce – a chi è in una condizione di non abbienza – l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale.
Tale previsione, per la Consulta, presenta “rilevanti distonie”, atteso che, avvalendosi del mero criterio della cittadinanza, richiede la certificazione dell’autorità consolare competente per i redditi prodotti all’estero solo ai cittadini di Stati non aderenti all’Unione europea e non anche a quelli italiani o ai cittadini europei.
Al contempo, sembrerebbe pretendere, dai cittadini degli Stati extra Ue, la certificazione consolare per ogni reddito prodotto all’estero, compresi quelli realizzati in Paesi dell’Unione.
Per i giudici costituzionali, la norma inficia la possibilità di un accesso effettivo alla tutela giurisdizionale, facendo gravare sullo straniero proveniente da un Paese non Ue il rischio dell’impossibilità di produrre la documentazione necessaria, a pena di inammissibilità, per comprovare i redditi prodotti all’estero, e ciò in contrasto con i principi di ragionevolezza e di autoresponsabilità.
La legittimità costituzionale della norma in esame - ha sottolineato la Corte - può essere ricostituita, integrando la previsione sull’onere probatorio, con la possibilità per l’istante di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di certificazione, relativa ai redditi prodotti all’estero, una volta dimostrata l’impossibilità di presentare la richiesta certificazione.
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