La sussistenza, in concreto, di una giusta causa di licenziamento, va accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi, dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta. Ai fini del licenziamento, in particolare, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo in tal senso determinante la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile di porre in dubbio la correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza.
L’accertamento di cui sopra, in riferimento al requisito di proporzionalità, esige una valutazione non astratta dell’addebito, bensì attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intenzionalità del comportamento, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e tipologia del rapporto medesimo.
Sono i principi enunciati dalla Corte di Cassazione, Sezione lavoro, accogliendo il ricorso di un lavoratore avverso il proprio licenziamento disciplinare da parte della ditta metalmeccanica per cui prestava servizio. Alla base licenziamento, l’assenza dal lavoro di un giorno, giustificata con la necessità di rimanere a casa ad assistere la figlia malata, essendosi in realtà il lavoratore recato presso lo stabilimento di un sindacato in occasione della votazione al referendum su un accordo sindacale. Condotta che – anche secondo i giudici di merito, i quali avevano respinto il l’impugnazione del lavoratore – aveva indubbiamente minato la fiducia del datore di lavoro, al punto da impedire la prosecuzione del rapporto.
Invero nel caso di specie, secondo la Corte Suprema, i Giudici territoriali non avrebbero fatto corretta applicazione del principio di proporzionalità tra fatto e sanzione inflitta (nella portata sopra descritta), omettendo ogni considerazione, per ravvisata irrilevanza, sugli elementi oggettivi (una sola giornata lavorativa di assenza) o soggettivi (assenza di premeditazione nella decisione di partecipare al referendum sindacale, assunta solo dopo la rassicurazione del medico circa le condizioni non gravi della figlia); elementi non certo marginali, ma costitutivi del fatto contestato ed accertato, alla base del licenziamento intimato. La Sezione lavoro, con sentenza n. 21062 dell’11 settembre 2017, boccia dunque il licenziamento, in favore delle meno gravi sanzioni conservative.
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