La predeterminazione dell'illecito e l'affissione del codice disciplinare sono superflue nelle ipotesi di comportamento contrario al c.d. minimo etico, laddove, ossia, la condotta addebitata sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito.
E’ questo il consolidato orientamento giurisprudenziale posto a fondamento di una sentenza di merito, confermativa del licenziamento disciplinare per giusta causa impartito a una lavoratrice, dipendente di banca.
Orientamento condiviso anche dalla Suprema corte che, con ordinanza n. 19588 del 9 luglio 2021, ha respinto le doglianze promosse dall’interessata al fine di ottenere l’annullamento della massima sanzione espulsiva irrogatale.
La dipendente, in particolare, insisteva sulla mancata correlazione tra infrazioni e sanzioni disciplinari nell'ambito del codice disciplinare del datore di lavoro.
Alla stessa era stato contestato di aver consentito, in qualità di quadro direttivo e direttrice di filiale, numerose operazioni irregolari in posizione di conflitto di interesse con la banca, senza effettuare le dovute valutazioni ai fini della normativa antiriciclaggio.
Tutti gli addebiti erano stati ritenuti provati dalla Corte territoriale, la quale aveva anche disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica territorialmente competente.
Era emerso, inoltre, che le predette condotte erano connotate da intenzionalità finalisticamente orientata a mettere all'incasso polizze assicurative di una cliente, procurando, mediante la modifica del beneficiario, un ingiusto profitto alla madre della lavoratrice.
Ciò poteva desumersi dalla impressionante catena di irregolarità successive enunciate in ordine cronologico nella lettera di contestazione, irregolarità che integravano la violazione non solo del codice etico ma altresì del più elementare dovere di diligenza e degli obblighi di fedeltà, correttezza e buona fede, soprattutto in considerazione del ruolo dalla stessa ricoperto e del grado di fiducia lei richiesto.
Il tutto, con conseguenti e gravissimi danni per la datrice di lavoro in termini sia morali (danno all'immagine) sia patrimoniali, atteso che la banca era stata esposta alle azioni risarcitorie degli eredi della cliente coinvolta.
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