Nel giudizio di risarcimento del danno, sia da inadempimento contrattuale sia da fatto illecito, non costituiscono domande nuove:
La richiesta di risarcimento dei danni sopravvenuti al maturare delle preclusioni istruttorie, anche se di qualità e quantità differenti da quelli richiesti con la domanda originaria, costituisce invece una domanda nuova, domanda, tuttavia, ammissibile se ricorrano i presupposti della rimessione in termini, di cui all'articolo 153 Cpc.
E’ questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione nel testo della ordinanza n. 25631 del 15 ottobre 2018.
I giudici di legittimità, in particolare, hanno ricordato come, in via generale, una volta proposta una determinata domanda di risarcimento del danno, fondata su uno specifico fatto costitutivo, il mutare l’uno o l’altro di tali elementi significa ampliare non già l'oggetto del pronuntiare, bensì l'oggetto del cognoscere richiesto al giudice, con la conseguenza che tale mutamento è inammissibile “perché costituirebbe un mutamento della domanda originariamente proposta”.
Tuttavia – ha ammesso la Sesta sezione civile - tale principio non è inderogabile.
Ad esso, infatti, può derogarsi quando l'attore:
Ne discende – ha concluso la Corte - che la riduzione della domanda, la domanda di danni incrementali e i fatti sopravvenuti sono le tre ipotesi in cui è consentito all'attore domandare il risarcimento di danni diversi, per quantità o (nel terzo caso) anche per qualità rispetto a quelli inizialmente prospettati con la citazione od il ricorso introduttivi del giudizio.
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