Il lavoratore che assume comportamenti punibili con la semplice sanzione conservativa (rimprovero scritto, multa, ecc.), non può essere reintegrato in servizio se le condotte stesse non sono esplicitate all’interno del contratto collettivo stesso. Il giudice, in altri termini, non può disporre la reintegrazione sul posto di lavoro operando un’estensione delle condotte descritte dal CCNL.
È quanto stabilito dai giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14500 del 28 maggio 2019, in merito a un lavoratore – licenziato per giusta causa – che aveva proferito espressioni di natura erotico sessuale alla presenza di una collega.
Nel rigettare i motivi del ricorso del lavoratore, gli ermellini hanno avuto modo di precisare che, nel caso in cui si esclude la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, bisogna svolgere un’ulteriore disamina sulla sussistenza o meno delle due condizioni previste dall’art. 18, co. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970) al fine di applicare la tutela reintegratoria, ossia: insussistenza del fatto contestato ovvero fatto rientrante tra le condotte punibili con una sanzione conservativa.
Sul punto, i giudici della Corte di Cassazione hanno ricordato che, mentre le previsioni contrattuali che descrivono condotte punibili con il licenziamento non vincolano il giudice, tale “principio generale subisce un’eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi a un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa”.
Difatti, si legge nella sentenza, un’interpretazione estensiva, volta a far rientrare nell’ambito delle condotte punite con sanzioni conservative fattispecie non espressamente tipizzate nel contratto collettivo, sarebbe eccezionalmente consentita solo ove emerga una “inadeguatezza per difetto dell’espressione letterale adottata dalle parti sociali rispetto alla loro volontà”.
Sulla base di tali considerazioni, i giudici di legittimità respingono il ricorso del lavoratore e escludono la reintegra sul posto di lavoro, riconoscendo allo stesso esclusivamente un’indennità risarcitoria. Non essendo il fatto contestato al dipendente esplicitamente citato nel CCNL tra le condotte punibili con la sanzione conservativa, il licenziamento per giusta causa è legittimo.
In definitiva, in assenza delle condizioni che danno diritto alla tutela reale forte, gli ermellini confermano la pronuncia della Corte d’Appello che ha previsto esclusivamente una tutela risarcitoria in favore del lavoratore.
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