La possibilità per il lavoratore di poter ricorrere al “Fondo di garanzia INPS”, laddove il datore di lavoro si mostra insolvente, si prescrive entro un anno dalla data del fallimento e non dalla data di chiusura della procedura concorsuale.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32 del 3 gennaio 2020. Nel caso di specie, un lavoratore avanzava domanda di adesione al “Fondo di garanza INPS”, poiché l’azienda non gli aveva corrisposto le ultime tre mensilità. Gli ermellini, però, in linea con le pronunce di primo e secondo grado di giudizio, hanno dichiarato il ricorso inammissibile, in quanto il diritto del lavoratore a ottenere il pagamento dall’INPS ha natura di diritto di credito a una prestazione previdenziale distinta rispetto a quello vantato nei confronti del datore di lavoro.
Secondo gli ermellini, la domanda di attivazione del “Fondo di garanzia INPS” per la liquidazione dei crediti di lavoro non si prescrive in un anno dalla data di chiusura della procedura concorsuale, come precisato dall’INPS stesso con la circolare n. 74 del 15 luglio 2008. Un’interpretazione, questa, in contrasto anche con quanto stabilito agli artt. 3 e 97 della Carta costituzionale, posto che l’INPS avrebbe leso il principio di legittimo affidamento ponendo in essere atti contrari all’obbligo di buona fede e correttezza nei confronti dell’interessato.
Dunque, conferma la Corte di Cassazione, le circolari dell’INPS non possono in alcun modo derogare alle disposizioni di legge, né influire sull’interpretazione delle medesime disposizioni, e ciò anche se si tratti di atti del tipo cosiddetto normativo, i quali restano comunque atti di rilevanza interna all’organizzazione dell’ente.
In conclusione, due sono le conseguenze che discendono dalla sentenza:
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