Confermato, dalla Cassazione, l’annullamento disposto dai giudici di merito rispetto ad un avviso di accertamento relativo a IVA, scaturito da una verifica per operazioni soggettivamente inesistenti.
In virtù di detto accertamento, posto a carico della Srl che aveva emesso le fatture, era stata negata la detrazione dell'imposta.
La contribuente aveva impugnato l’avviso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale e si era vista dare ragione in relazione alle proprie deduzioni. Deduzioni, queste, confermate anche in secondo grado, dopo che l’Agenzia delle Entrate aveva promosso appello rispetto alla decisione di prime cure.
La CTR, in particolare, nel rigettare il gravame proposto dall'Ufficio finanziario, aveva evidenziato che quest’ultimo non aveva assolto, neanche per presunzioni, all'onere di provare che la cessionaria fosse consapevole che con il proprio acquisto partecipava ad una frode.
Erano stati ritenuti conferenti, per contro, gli elementi addotti dalla società (minimi scostamenti del costo dei prodotti acquistati rispetto ad altri prodotti, effettivo versamento dell'IVA, pagamento a mezzo bonifici) e giudicato non provato il vantaggio della contribuente a operare tramite intermediario anziché acquistare i prodotti da un operatore estero.
L’Amministrazione finanziaria si era quindi rivolta ai giudici di legittimità, lamentando una violazione e falsa applicazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto che gli elementi addotti dalla contribuente e la mancata prova da parte dell'Ufficio non consentissero di ritenere dimostrata la conoscenza delle operazioni contestate.
Il motivo, oltreché inammissibile, è stato giudicato infondato dalla Suprema corte, la quale, con ordinanza n. 13701 del 3 luglio 2020, ha ricordato il principio ormai consolidato in materia di diritto alla detrazione.
Tale diritto - ha quindi precisato - “può essere negato sulle operazioni a monte solo nell'ipotesi in cui il soggetto passivo sapesse o avrebbe dovuto sapere che l'operazione effettuata rientrava in una frode e non avesse adottato tutte le misure ragionevoli per evitare la frode, inibendosi la detrazione nel caso in cui il soggetto passivo abbia partecipato a una catena fraudolenta di transazioni”.
In questo caso, l'Amministrazione ha l'onere di provare, anche in via presuntiva, la ricorrenza di elementi oggettivi dai quali emerga che il contribuente, nel momento in cui acquistò il bene o il servizio, conosceva o avrebbe dovuto conoscere con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva evaso l'imposta o partecipato ad una frode.
Solo in quest'ipotesi graverebbe in capo al contribuente l'onere di provare l'esistenza di circostanze tali che non gli avrebbero consentito di evitare di restarne coinvolto, pur adottando tutte le misure esigibili secondo la diligenza imposta dall'attività svolta.
La decisione impugnata, nel caso in esame, non si era discostata da tali assunti e, pertanto, il ricorso del Fisco andava rigettato.
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