Falsa attestazione di presenza sul posto di lavoro: licenziamento

Pubblicato il 19 aprile 2021

E’ stata definitivamente respinta l’impugnativa promossa da una lavoratrice contro il licenziamento senza preavviso, intimatole dal datore di lavoro per falsa attestazione della presenza in servizio.

La massima sanzione disciplinare era stata confermata sia nel primo che nel secondo grado del giudizio, dove era stato osservato, in merito alla valutazione di gravità in concreto della violazione posta in essere, come il disvalore della condotta della dipendente non si esaurisse nel danno economico arrecato all'azienda, effettivamente modesto.

L'inaffidabilità della lavoratrice, dipendente di una Asl, si era piuttosto posta in evidenza dalla quasi quotidiana violazione della normativa di rilevazione delle presenze e dalla indifferenza per la continuità del servizio, dimostrata dall'abitualità con la quale la ricorrente entrava e usciva dalla sede aziendale, facendo in modo di evitare che il sistema apposito potesse registrarla.

Licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza in servizio

Si trattava di un comportamento connotato da una particolare intensità dell'elemento soggettivo, manifestata dalla diffusività del sistema adottato e dai chiari contorni associativi di questo, in considerazione del numero elevato dei dipendenti che vi partecipavano.

Era infatti emerso, nel solo mese preso in considerazione, che in favore della ricorrente, vi erano state ben 29 timbrature da parte dei colleghi e 8 timbrature della ricorrente a vantaggio di altri dipendenti, circostanze che evidenziavano, sul piano sia oggettivo che volitivo, non solo la disponibilità allo scambio di illeciti favori per eludere il sistema di rilevazione delle presenze ma anche l'abitualità delle condotte e la completa indifferenza per la violazione dei propri doveri di ufficio, tanto più grave, per la funzione ricoperta e la rilevanza dei compiti assegnati.

Cassazione: condotta grave, sanzione proporzionata

Respingendo il ricorso promosso dalla lavoratrice, la Corte di cassazione, con ordinanza n. 9930 del 15 aprile 2021, ha ritenuto esaustiva e adeguata la motivazione resa dai giudici di appello in ordine alla gravità della condotta posta in essere e di proporzionalità della sanzione del licenziamento disciplinare concretamente irrogata.

Secondo gli Ermellini, il giudizio di gravità e proporzionalità era stato espresso dalla Corte di appello con motivazione esaustiva ed era stato condotto con apprezzamento, puntuale e coerente, di plurimi elementi soggettivi e oggettivi.

Per contro, i rilievi mossi dalla ricorrente, anche quelli formalmente prospettati in termini di violazione di legge, schermavano, in realtà, questioni di fatto la cui valutazione è riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità.

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