Fallimento, per il risarcimento dei crediti retributivi maturati si deve aspettare la scelta del curatore

Pubblicato il 24 marzo 2018

Una lavoratrice chiedeva di essere ammessa al passivo del fallimento della società di cui era dipendente, perché a seguito della dichiarazione di fallimento della stessa non aveva percepito più le retribuzioni ed era stata licenziata dalla curatela; tale recesso era stato poi dichiarato “inefficace” per violazione della Legge n. 223/1991, con sentenza passata in giudicato.

La lavoratrice rivendicava, dunque, sia le mensilità non pagate che il trattamento di fine rapporto maturato con riferimento al tempo successivo alla dichiarazione di fallimento.

La Corte d’Appello, confermando la posizione della Corte territoriale, aveva ritenuto che, in seguito alla dichiarazione di fallimento, il rapporto di lavoro fosse sospeso ai sensi dell’articolo 72 della Legge fallimentare, e neanche l’illegittimità del successivo licenziamento poteva dar luogo ad un credito per la dipendente in mancanza di prestazione lavorativa.

La dipendente è, così, ricorsa in Cassazione, che – con sentenza n. 7308 del 23 marzo 2018 – ha ritenuto il ricorso fondato nei limiti della seguente motivazione.

Secondo un precedente orientamento giurisprudenziale, il fallimento non può determinare di per sé lo scioglimento del rapporto di lavoro e tale principio va coordinato con l’articolo 72 l.f., secondo cui “l’esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando il curatore dichiari di subentrare in luogo del fallito nel contratto, assumendone tutti gli obblighi relativi, ovvero di sciogliersi dal medesimo”.

Solo nel caso in cui il curatore decida di subentrare nel rapporto di lavoro esso prosegue con l’obbligo di adempimento per entrambe le parti delle prestazioni corrispettive.

Se, invece, il curatore sceglie di sciogliersi dal rapporto di lavoro e non rispetta le norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, la curatela è esposta alle conseguenze risarcitorie previste dall’ordinamento a tutela della posizione del lavoratore.

Sulla base di ciò, la Cassazione conclude che la Corte territoriale ha errato nel negare l’ammissione al passivo del fallimento della lavoratrice, perché fino a quando il curatore non effettua la scelta tra subentrare nel rapporto di lavoro pendente ovvero sciogliersi da esso, detto rapporto, in assenza di prestazione, pur essendo formalmente in essere, rimane sospeso e, difettando l’esecuzione della prestazione lavorativa, viene meno l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione.

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