Fallimento. L'imprenditore cessato non può invocare la capienza del patrimonio

Pubblicato il 08 gennaio 2016

La Sesta sezione civile della Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 98/2016, respinge il ricorso presentato da un imprenditore individuale, che sulla base di due ricorsi proposti da distinti creditori, dopo l’udienza prefallimentare viene dichiarato fallito e si oppone alla procedura concorsuale adducendo come motivazioni il fatto che:

La cancellazione dal Registro imprese non mette al riparo dal fallimento

Le tesi difensive dell'imprenditore non vengono accolte né dalla Corte d'appello né dalla Suprema Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 98/2016.

Per la Suprema Corte infatti, nel caso in cui la procedura di fallimento è già stata avviata e il ricorso del primo creditore è stato regolarmente notificato, possono anche non essere rispettati i termini tra le notifiche dei successivi ricorsi degli eventuali altri creditori e la convocazione nell’udienza prefallimentare. A fallimento in corso, infatti, non è necessario che venga notificato il ricorso proposto da un secondo creditore richiedente il fallimento, in quanto non viene meno in queste circostanze il diritto alla difesa.

Se, poi, l'imprenditore individuale ha cessato la propria attività d'impresa al momento del fallimento non può invocare la capienza del proprio patrimonio immobiliare per sfuggire alla procedura fallimentare, anche nel caso in cui lo stesso fosse sufficiente a pagare tutti i debiti dell'impresa. Ciò, in virtù del fatto che per la pronuncia di fallimento è sufficiente uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti alla stessa impresa.

Dunque, all'imprenditore individuale non può applicarsi il regime estintivo delle società di cui all’articolo 2495 Codice civile, in quanto l’imprenditore individuale è assimilato alla persona fisica che svolge l’attività imprenditoriale.

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