Espropriazione dell’immobile in comunione. Metà della somma ricavata al coniuge non debitore
Pubblicato il 25 marzo 2013
Con la
sentenza n. 6575 del 14 marzo 2013, la Terza sezione civile della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una donna, coniuge del socio accomandatario di una Sas in fallimento, avverso l’ordinanza di vendita di un immobile che la stessa aveva in comproprietà col marito e che era stato pignorato dai creditori di quest’ultimo nell’ambito della procedura concorsuale.
Nel testo della decisione, la Suprema corte ha sottolineato che
“la comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione”.
La comunione legale tra i coniugi – precisa la Corte - costituisce, nella interpretazione giurisprudenziale assolutamente prevalente, “
una comunione senza quote”, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, trattandosi di comunione finalizzata, a differenza della comunione ordinaria, non già alla tutela della proprietà individuale, ma piuttosto a quella della famiglia; essa può sciogliersi nei soli casi previsti dalla legge ed è indisponibile da parte dei singoli coniugi, i quali, tra l'altro, non possono scegliere quali beni farvi rientrare e quali no, ma solo mutare integralmente il regime patrimoniale, con atti dalla forma solenne opponibili ai terzi soltanto con l'annotazione formale a margine dell'atto di matrimonio.
La quota, in definitiva, non è un elemento strutturale della proprietà e, “
nei rapporti coi terzi, ciascuno dei coniugi, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune”.