Espropri e utilizzazione senza titolo da parte della pa. Disciplina legittima

Pubblicato il 01 maggio 2015 La Corte costituzionale, con sentenza n. 71 del 30 aprile 2015, ha dichiarato in parte inammissibili e in parte non fondate la questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili, e dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, relativamante all'articolo 42-bis del DPR n. 327/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) che disciplina l'utilizzazione senza titolo, da parte della pubblica amministrazione, di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità.

La norma di specie, in particolare, censurata in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 97, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, prevede che l'autorità che utilizza il bene possa disporne l'acquisizione, non retroattiva, al proprio patrimonio indisponibile, contro la corresponsione di un indennizzo patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del 10 per cento del valore venale del bene.

Per l'eventuale periodo di occupazione senza titolo è computato, a titolo risarcitorio, un interesse del 5 per cento annuo sul valore venale, salva la prova del maggior danno.

Le dette regole si applicano non solo quando manchi del tutto l'atto espropriativo, ma anche qualora sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio.

Differenze con la disciplina previgente

Nella sua analisi della disciplina, la Consulta si sofferma sulle differenze del nuovo meccanismo acquisitivo rispetto alla previgente normativa.

In particolare, viene evidenziato come, ai sensi della norma censurata, l'acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento, ossia, dell'emanazione dell'atto di acquisizione; inoltre, è imposto uno specifico obbligo motivazionale “rafforzato in capo alla pubblica amministrazione procedente, “che deve indicare le circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio”.

Nel computo dell'indennizzo, altresì, viene ricompreso non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, con riconoscimento, ossia, di un ristoro supplementare rispetto alla somma che sarebbe spettata nella vigenza della precedente disciplina.

Il passaggio del diritto di proprietà, inoltre, è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione.

Necessaria è la rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione.

Obbligo di motivazione “stringente”

Per quanto riguarda l'obbligo motivazionale, in particolare, la Corte precisa come lo stesso, in base alla “significativa previsione normativa”, che richiede l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione, va interpretato nel senso che “l'adozione dell'atto è consentita – una volta escluse, all'esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita – solo quando non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà.

In considerazione delle caratteristiche innovative dell'istituto, in definitiva, sono stati respinti i dubbi di incostituzionalità sollevati.
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