Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, la disciplina italiana sull’ergastolo ostativo restringe eccessivamente le prospettive del recluso di poter ottenere permessi o benefici e la possibilità di veder riesaminare la propria pena.
La dignità umana, trovandosi al centro del sistema messo a punto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, impedisce di privare una persona della sua libertà senza aprire, allo stesso tempo, al suo reinserimento e senza fornirle una possibilità di riacquistare, un giorno, questa libertà.
Lo ha precisato la Corte di Strasburgo nella sentenza pronunciata, il 13 giugno 2019, rispetto alla causa M.V. contro Italia (ricorso n. 77633/16), a proposito della normativa italiana in materia di ergastolo.
Nella vicenda esaminata, i giudici europei hanno ritenuto che la pena della reclusione inflitta al ricorrente, un detenuto italiano, in ragione di attività criminali di tipo mafioso, avesse violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per quanto riguarda il divieto di trattamenti disumani e degradanti (di cui all’articolo 3 della Cedu).
In particolare, a detta della Corte, l’ergastolo ostativo inflitto al carcerato in applicazione della legge sull’amministrazione penitenziaria nazionale aveva ristretto eccessivamente le prospettive di ottenere permessi o benefici e di riesame della pena.
Lo stesso non aveva mai voluto collaborare con gli inquirenti e si era visto rifiutare tutte le richieste presentate per ottenere dei permessi premio e, in particolare, la liberazione condizionale.
Secondo la Corte Edu, il fatto che la reclusione a vita possa, in pratica, essere scontata nella sua interezza, non rende l’ergastolo incomprimibile.
La possibilità di riconsiderare l'ergastolo implica che la persona condannata possa comunque richiedere l’applicazione di un beneficio. Non necessariamente, poi, otterrà la sua liberazione, soprattutto se quest'ultima costituisce ancora un pericolo per la società.
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