Il giudice non può sanzionare l'eccesso di zelo dell'avvocato, azzerando, di fatto, il compenso che gli spetta per l'attività espletata, attraverso un indebito "dare -avere".
E' stato accolto il ricorso presentato da un avvocato contro la statuizione con cui, nel merito, era stato condannato al pagamento delle spese di lite in favore del ministero dell'Interno, condanna che era stata giustificata in base alla regola della soccombenza, sul rilievo che quest'ultimo dicastero, del quale era stata esclusa la legittimazione, "non avrebbe dovuto essere convenuto e pertanto non avrebbe dovuto partecipare a nessuna fase e a nessun incidente di questo procedimento".
Nel dettaglio, la statuizione si riferiva al compenso per l'attività difensiva svolta dal professionista nell'ambito di un giudizio di ottemperanza svoltosi davanti al TAR Lazio nell'interesse del proprio cliente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
Con questo provvedimento, il Tribunale aveva condannato il ministero della Giustizia, quale parte soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e di quello instaurato a seguito di riassunzione, ma aveva condannato il legale, come detto, al pagamento delle spese di lite in favore del ministero dell'Interno.
Il difensore aveva promosso ricorso in sede di legittimità dolendosi, tra gli altri motivi, di questa condanna alle spese in favore del ministero dell'Interno, a cui – aveva sottolineato – l'originario ricorso era stato notificato solo con finalità di conoscenza, quale parte del giudizio presupposto, in ossequio al disposto degli artt. 84 e 170 del DPR n. 115/2002.
Motivi ritenuti fondati dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 3926 dell'11 febbraio 2019.
In ordine a questa doglianza, la Sesta sezione civile ha precisato che, se anche era vero che la parte necessaria nel procedimento in esame fosse il ministero della Giustizia, era altrettanto vero che al ministero dell'Interno, parte del giudizio presupposto, il ricorso era stato notificato solo per mera conoscenza, come dimostra il fatto che nessuna domanda era stata avanzata nei suoi confronti.
Appariva, quindi, palese l'errore di diritto che aveva commesso il giudice di merito, consistente nel non avere saputo individuare il ruolo del ministero dell'Interno, a cui il ricorso in opposizione era stato notificato, non già quale soggetto tenuto a corrispondere la liquidazione del compenso, ma unicamente quale parte del processo presupposto.
In questo modo, il Tribunale aveva finito per sanzionare pesantemente l'eccesso di zelo del difensore, azzerando di fatto, attraverso un indebito "dare -avere", il compenso spettante all'avvocato per l'attività espletata.
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