La recente Legge n. 36/2019 ha inciso profondamente sull’istituto dell’eccesso colposo in legittima difesa, sancendo che la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto.
Disposizione, questa, certamente applicabile ai fatti pregressi, ai sensi dell’articolo 2, comma 4° del Codice penale, quale legge più favorevole.
La nuova previsione, tuttavia, non ha codificato un’ulteriore scriminante, da aggiungere a quelle previste dagli articoli 50 e seguenti del Codice penale. Queste ultime, infatti, sono situazioni oggettive di esclusione dell’antigiuridicità del fatto che, se sussistenti, si applicano in favore dell’agente a prescindere dalla consapevolezza che il medesimo ne abbia. Le stesse, ove erroneamente reputate esistenti, sono parimenti valutate in suo favore, fatta salva, in caso di colpevole errore, la responsabilità laddove il fatto sia previsto come delitto colposo.
Nella specie, per contro, si tratta di una situazione che si inserisce nell’ambito di applicazione di una scriminante esistente, escludendo la soggettiva imputabilità all’agente di condotte antigiuridiche colpose rispetto alle quali sia già stata accertata la violazione di una regola cautelare.
La novellata disposizione, in vero, recepisce quell’orientamento giurisprudenziale che richiede un giudizio sul profilo di colpa dell’imputato, compiuto avendo riguardo anche alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali.
Il giudice, ciò posto, deve operare una complessa valutazione di fatto e non può concludere con un generico riferimento alla situazione di significativo turbamento, in quanto deve comunque valutarne anche la permanenza al momento della condotta.
Così la Corte di cassazione, con sentenza n. 49883 del 10 dicembre 2019.
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