Per la normativa sulla privacy (D.Lgs. n. 196/2003) il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato, può essere effettuato anche in assenza di tale consenso se è volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive previste dalla Legge n. 397/2000, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 11322 del 10 maggio 2018, nel caso di specie siamo dinanzi ad una deroga della necessità del consenso per cui, in ambito lavoristico, la registrazione di un colloquio tra presenti costituisce una prova ammissibile nel processo civile del lavoro come in quello penale.
Nel caso di specie, il dipendente aveva, sì, effettuato la registrazione ma aveva anche adottato tutte le dovute cautele al fine di non diffondere le registrazioni all’insaputa dei soggetti coinvolti.
Ancora più nello specifico, la Corte ha ritenuto lecita la condotta posta in essere dal lavoratore per tutelare la sua posizione all’interno dell’azienda, messa a rischio da contestazioni disciplinari “non proprio cristalline” e per “precostituirsi un mezzo di prova” visto che non riusciva a trovare altri strumenti di tutela della propria posizione, il tutto in un contesto conflittuale con colleghi di rango più elevato in cui risultavano anche inascoltate recriminazioni relative a disorganizzazioni lavorative asseritamente alla base di contestazioni disciplinari.
In definitiva, la condotta posta in essere dal dipendente non poteva ledere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro per cui lo stesso è stato reintegrato in azienda.
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