Evasione e omissione contributiva: richiamati, dalla Corte di cassazione, i presupposti di fatto delle due differenti fattispecie.
Con ordinanza n. 3420 del 3 febbraio 2022, la Sezione lavoro della Cassazione ha rigettato le ragioni con cui una Sas si era opposta alla decisione di merito, confermativa di alcune pretese contributive ad essa avanzate dall'INPS, a seguito di verbale ispettivo.
Secondo la Corte d'appello, era legittimo che, fermo restando l'onere probatorio a carico dell'INPS, fosse stato accordato valore probatorio ai verbali ispettivi e agli accertamenti condotti dagli ispettori sulla documentazione acquisita, sulla base di una libera valutazione e tenendo conto dei motivi dell'opposizione al verbale.
Nella vicenda in esame, in particolare, erano diverse le irregolarità accertate:
La società si era rivolta alla Suprema corte, avanzando 13 motivi di ricorso contro la decisione impugnata, motivi che, tuttavia, non hanno trovato accoglimento, in quanto giudicati in parte infondati e in parte inammissibili.
Insussistente, in particolare, è stato ritenuto il vizio di motivazione denunciato dalla ricorrente.
Per gli Ermellini, la sentenza di merito aveva correttamente assolto al proprio obbligo motivazionale: dopo aver compiutamente riportato le ragioni essenziali della motivazione adottata dal primo giudice ed aver elencato i motivi d'appello, aveva esposto il principio di riparto dell'onere della prova applicabile in fattispecie di accertamento negativo, spiegando il valore probatorio da attribuire al verbale ispettivo.
Valutati, quindi, i motivi di opposizione al predetto verbale, avevano adeguatamente esplicitato le ragioni per le quali essi andavano disattesi.
Inammissibile, a seguire, è stata ritenuta la specifica doglianza con cui parte ricorrente aveva denunciato la violazione della Legge n. 388/2000 relativamente alla configurabilità della vicenda sanzionatoria nei termini della omissione e non della evasione.
Nel rispondere a tale rilievo, la Cassazione ha avuto occasione di richiamare i principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali.
Ha quindi ribadito che l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS - attraverso i cosiddetti modelli DM10 di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta - concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui alla Legge n. 388/2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" di cui alla lett. a) della medesima norma.
Quest'ultima, in particolare, riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi.
L'omessa o infedele denuncia - ha continuato la Corte - configura occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti.
Di conseguenza, è a carico del datore di lavoro inadempiente l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede.
Il predetto onere probatorio, tuttavia, non può reputarsi assolto in ragione dell'avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta.
Spetta al giudice di merito, in tale contesto, accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata.
Nel caso esaminato, poiché la sentenza impugnata non si era occupata del tema della sanzione applicabile, il motivo era inammissibile in quanto aveva introdotto una questione in fatto del tutto nuova senza indicare quando e come la questione ora proposta fosse stata introdotta nella causa.
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