La Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, traccia una linea di confine tra il reato di cui agli artt. 473 e 474 c.p. (contraffazione) e quello di cui all'art. 517 ter c.p. (fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale). Ciò che in particolare contraddistingue dette ipotesi delittuose, è la dimensione degli interessi coinvolti: pubblici nel primo caso, privati nel secondo.
Il bene giuridico protetto dagli art. 473 e 474 c.p., difatti, è la fede pubblica, che si intende tutelare contro specifici attacchi insiti nella contraffazione o alterazione del marchio, di altri segni distintivi, del brevetto, di disegni o modelli industriali. Bene messo in pericolo tutte le volte in cui la contraffazione (pedissequa riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di marchi o segni distintivi, ovvero riproduzione negli elementi essenziali e caratterizzanti un prodotto brevettato) o la alterazione (riproduzione solo parziale, ma tale da ingenerare confusione con il marchio originario, segno distintivo o prodotto brevettato), siano tali da provocare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento.
L’interesse pubblico, in tale situazione, è preminente rispetto a quello privato, che anzi, nella sua dimensione patrimoniale, resta assorbito in quello collettivo reputato di maggior rilievo (fede pubblica e tutela del mercato).
Di contro, ove sia ravvisabile solo uno specifico interesse patrimoniale di un privato, leso dall'abusiva utilizzazione di un prodotto da lui brevettato, ricorre la fattispecie di cui all’art. 517 ter c.p. (in sostanziale continuità normativa con l’abrogato art. 127 D.Lgs. n. 30/2005), che tutela esclusivamente il patrimonio e, dunque, la sfera di interessi esclusivamente privata. Circostanza, d’altra parte, segnalata dalla stessa procedibilità a querela di parte, sì che la fattispecie in questione si pone come ipotesi di reato sussidiaria rispetto alla contraffazione di cui all'art. 473 c.p.
E’ tutto quanto ha enunciato la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 14812 del 27 marzo 2017, nell'ambito di una vicenda ove il titolare di un’impresa individuale era stato imputato per aver fatto commercio e per aver messo in circolazione delle borse con marchio contraffatto.
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