La Corte di cassazione si è pronunciata in ordine ad una vicenda giudiziaria in cui un imputato era stato condannato per reati di falsa attestazione e truffa, asseritamente posti in essere attraverso la compilazione di una domanda di inserimento nelle graduatorie per il personale A.T.A.
Il reato di falsa attestazione era stato contestato in quanto nella domanda il dichiarante non aveva riportato condanne penali, mentre invece a suo carico vi era un precedente definitivo di applicazione di pena su richiesta delle parti.
Contestualmente, l'imputato era stato ritenuto colpevole anche di truffa aggravata, poiché la predetta falsa attestazione aveva indotto in errore l'Ufficio scolastico regionale competente, che lo aveva inserito fra i soggetti idonei a ricevere incarichi scolastici per la provincia di riferimento, e a seguito di ciò egli aveva ricevuto un incarico di lavoro a tempo determinato.
La questione controversa, posta all’attenzione della Corte di legittimità, era se egli avrebbe dovuto dichiarare anche l'essere stata applicata nei suoi confronti con sentenza passata in giudicato la pena di quattro mesi di reclusione.
Questo nella premessa che la disciplina attualmente in vigore - ossia il Decreto legislativo n. 122/2018 - è successivo ai fatti di causa.
Invero, le disposizioni operanti in quel momento, mentre imponevano di iscrivere sempre nel casellario giudiziale la sentenza di patteggiamento, come desumibile dall'art. 3 D.P.R. n. 313/2002, stabilivano anche che tale tipologia di sentenza non fosse da menzionare né nel certificato generale, quello che riassume il certificato penale e il certificato civile, del casellario giudiziale richiesto dall'interessato, né nel certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall'interessato, che riporta solo le condanne penali definitive.
Orbene, la Suprema corte, con sentenza n. 37556 dell’11 settembre 2019, ha ritenuto che, dall’analisi delle disposizioni di riferimento, potesse ricavarsi che non vi era un obbligo di riportare, nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio, nulla di più di quanto sarebbe risultato dal certificato penale, con la non menzione ex lege della sentenza di applicazione di pena.
Quella resa dalla Cassazione è una ricostruzione esegetica ora è espressamente confermata dalla nuova versione dell'articolo 28 comma 8 del D.P.R. citato, non in vigore all'epoca dei fatti per cui vi è giudizio: "L'interessato che, a norma degli articoli 46 e 47 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, rende dichiarazioni sostitutive all'esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui (...) all'articolo 24 comma 1".
Non è tenuto, quindi, a indicare le iscrizioni dei "provvedimenti previsti dall'articolo 445 del codice di procedura penale quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria".
Ciò era quanto avvenuto nella vicenda in esame, avendo l’imputato concordato l'applicazione della pena di quattro mesi di reclusione.
Conseguentemente, gli Ermellini hanno disposto l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata "perché il fatto non sussiste".
In definitiva, le sentenze di patteggiamento sotto i due anni non rientrano tra le condanne da menzionare nel certificato generale e, quindi, nelle dichiarazioni sostitutive di certificazione.
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