Precisazioni della Corte di cassazione per quanto riguarda la pena accessoria dell'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese di cui all'art. 32-bis del Codice penale.
Tale pena consegue automaticamente dalla condanna alla reclusione, non inferiore a sei mesi, per delitti commessi con abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti all'ufficio.
Essa comporta, per l'autore, la perdita temporanea della capacità di esercitare uffici direttivi (amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale, dirigente preposto a redigere i documenti contabili) o di rappresentanza (institoria e procuratoria) delle persone giuridiche e delle imprese.
La ratio della pena accessoria che vieta di fare impresa è costituita:
Il contenuto di questa pena accessoria, infatti, è quello di interdire l'esercizio di uffici direttivi o di rappresentanza delle persone giuridiche e delle imprese.
Ne consegue che l'eventuale violazione del divieto, per l'intero periodo di sua applicazione, produce due effetti:
E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 46787 del 21 novembre 2023, nel delineare la ratio della pena accessoria in esame, a partire dagli interventi normativi che l'hanno coinvolta.
Nel caso sottoposto all'attenzione del Supremo Collegio, il Tribunale aveva assolto un imprenditore dal reato di cui all'art. 389 c.p. per asserita insussistenza del fatto con riferimento alla violazione della pena accessoria di cui all'art. 32-bis c.p., applicatagli con sentenza divenuta irrevocabile.
Nonostante l'imputato fosse destinatario della pena accessoria e avesse comunque compiuto atti di esercizio dell'attività d'impresa, il Tribunale aveva ritenuto che l'art. 32-bis citato non configurasse "una pena in senso proprio", tale da vietare l'attività interdetta, ma esprimesse soltanto una parziale incapacità di agire del condannato incidente sulla validità civilistica degli atti compiuti durante l'interdizione.
Il Procuratore della Repubblica aveva impugnato tale decisione, chiedendone l'annullamento per violazione della normativa di riferimento.
Doglianza, questa, giudicata fondata dalla Sesta sezione penale della Cassazione, alla luce dei principi sopra richiamati.
Secondo gli Ermellini, era da considerare contra legem l'interpretazione fornita dal Tribunale, interpretazione che non si confrontava con le norme del Codice penale che non solo definiscono l'interdizione in esame come "pena", ma stabiliscono anche che essa consegua "di diritto alla condanna, come effetti penali di essa", nel senso che non è necessaria un'espressa dichiarazione nella sentenza per la sua applicazione.
Da qui la cassazione, con rinvio, della decisione di merito.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".