Se, da un lato, non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro la stessa, interferendo con l’ordinamento civile, “è rigorosamente circoscritta dal suo scopo che ne detta anche le modalità di esercizio”.
E’ quanto precisato dalla Consulta in materia di riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di distanze legali.
Nel dettaglio è stato sottolineato che, in linea generale, la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale.
Alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.
Così, “nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza − statale in materia di “ordinamento civile” e concorrente in materia di “governo del territorio” −, il punto di equilibrio è stato rinvenuto nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968”, dotato di “efficacia precettiva e inderogabile”.
Sono ammesse, ai sensi di questo disposto, distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.
L’occasione di queste precisazioni è stata la pronuncia della Corte costituzionale n. 231 del 3 novembre 2016, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Liguria, n. 12/2015 contenente “Disposizioni di adeguamento della normativa regionale”.
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