Un disegno o un modello non registrato può ragionevolmente essere conosciuto, nel corso della normale attività commerciale, negli ambienti specializzati del settore interessato operanti in Unione Europea, qualora siano state distribuite illustrazioni di tale disegno o modello ai commercianti che operano in tale settore, non limitatamente ad una sola impresa. In tal caso, pertanto, il disegno o modello deve considerarsi protetto a livello comunitario.
Sulla scorta di detto principio la Corte Costituzionale, prima sezione civile, ha confermato la decisione secondo cui la fabbricazione, distribuzione ed offerta in vendita di modelli di t – shirt ispirati a squadre di calcio italiane, poste in essere da due s.r.l., costituivano violazione dei diritti d’autore di altra nota casa di moda, nonché atto di concorrenza sleale nei confronti di quest’ultima (con conseguente ordine di astensione dalla produzione e distruzione degli esemplari in commercio).
Confermata altresì la statuizione in ordine all’accordato risarcimento dei danni secondo valutazione equitativa. E’ pur vero – afferma in proposito la Suprema Corte con sentenza n. 20388 del 25 agosto 2017 – che il danno cagionato dalla commercializzazione di un prodotto o di un modello in violazione della privativa non è in re ipsa, ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore dell’illecito rispetto alla distorsione della concorrenza (comunque da eliminare), richiede di essere provato secondo i principi generali che regolano le conseguenze del fatto illecito, in quanto solo in presenza di tale dimostrazione è consentito al Giudice liquidare il danno, anche facendo ricorso ad equità. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte territoriale, proprio sulla base dell’avvenuta commercializzazione di alcune magliette, ha logicamente ritenuto sussistente lo sviamento di clientela, fondando, su tale presupposto, la valutazione equitativa del pregiudizio.
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