È discriminante per la donna comunicare la volontà di proseguire il lavoro oltre i 60 anni

Pubblicato il 30 ottobre 2009

Con la sentenza n. 275, depositata in data 29 ottobre 2009, la Corte Costituzionale “dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), nella parte in cui prevede, a carico della lavoratrice che intenda proseguire nel rapporto di lavoro oltre il sessantesimo anno di età, l'onere di dare tempestiva comunicazione della propria intenzione al datore di lavoro, da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto dalla pensione di vecchiaia, e nella parte in cui fa dipendere da tale adempimento l'applicazione al rapporto di lavoro della tutela accordata dalla legge sui licenziamenti individuali”.

Praticamente, da una esplicita e preventiva manifestazione di volontà da parte della donna dipende il diritto della stessa lavoratrice di conservare la stabilità del rapporto di lavoro fino al sessantacinquesimo anno di età. La Corte Costituzionale ribadisce che la materia è stata già oggetto di due pronunce di illegittimità (sentenza n. 137/1986 e sentenza n. 498/1998), in quanto si subordina la continuazione dell’opera prestata dalla donna, fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini, all’esercizio di un’opzione da comunicare al datore di lavoro. Ma quest’ultimo, proprio per effetto dell’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale, è tenuto a considerare, nell’organizzare il proprio personale, come normale la permanenza in servizio della donna oltre l’età pensionabile e come puramente eventuale la scelta del pensionamento anticipato, in virtù di una “tendenziale uniformazione del lavoro femminile a quello maschile”. Di fatto, l’onere di comunicazione posto a carico della donna pone quest’ultima di fronte ad un possibile rischio non contemplato per il lavoratore uomo, indebolendo così il principio di parità tra uomo e donna.

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