Nel bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, quando si può considerare lecito menzionare, in un articolo che rievochi fatti e vicende concernenti eventi del passato, gli elementi identificativi delle persone che di quei fatti od eventi sono state protagoniste?
Sul quesito si sono pronunciate le Sezioni Unite civili, con sentenza n. 19681 del 22 luglio 2019, rispondendo ad una esplicita richiesta di individuazione di univoci criteri di riferimento per consentire, agli operatori del diritto, di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, ad esso relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione.
La vicenda da cui ha preso le mosse il rinvio alle Sezioni Unite, riguardava la domanda di risarcimento avanzata da un uomo nei confronti di un quotidiano e di una giornalista per i danni asseritamente subiti a seguito della pubblicazione di un articolo in cui era stato rievocato un episodio di cronaca nera di 27 anni prima, che lo aveva visto protagonista in quanto responsabile dell’omicidio della propria moglie (reato per il quale era stato condannato ed aveva espiato una pena di 12 anni di reclusione).
L’uomo aveva dedotto che la pubblicazione dell’articolo aveva costituito una grave violazione del suo diritto all’oblio in quanto gli aveva prodotto gravi danni, di natura patrimoniale e non patrimoniale, anche conseguenti alla cessazione dell’attività di artigiano con cui era riuscito, a fatica, a ricostruirsi una vita.
Le Sezioni Unite, dopo un’ampia disamina sul quadro normativo interno ed europeo e sulla giurisprudenza pronunciata in materia, hanno proceduto con una delimitazione del campo di indagine in relazione alla concreta vicenda esaminata, disponendo l’annullamento, con rinvio, della decisione con cui i giudici di merito avevano respinto la richiesta di risarcimento dei danni.
Contestualmente, hanno enunciato un apposito principio di diritto per quanto riguarda la valutazione che il giudice di merito deve operare nei casi come quello esaminato e, in particolare, nell’ambito dei rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella particolare connotazione del diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato.
Il giudice di merito - si legge nella sentenza - ha in primo luogo il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti o di quelle vicende furono protagonisti.
Tale menzione deve ritenersi lecita solo se si riferisca a personaggi che destino, nel momento presente, l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito.
Diversamente, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.
Sempre in tema di diritto all’oblio, si segnala la notizia, diffusa ieri, di un provvedimento con cui il Garante Privacy ha ingiunto a Google di rimuovere una Url in cui erano riportati i dati identificativi di un professionista, in riferimento alla sua qualifica di presidente di una determinata cooperativa, dopo che questi ne aveva chiesto, invano, la deindicizzazione.
Nella newsletter n. 456 del 22 luglio 2019 con cui il Garante informa della decisione, è spiegato che il diritto all'oblio può essere invocato, in casi particolari, anche partendo da dati presenti sul web che non siano il nome e il cognome dell'interessato, nel caso in cui essi lo rendano comunque identificabile, anche in via indiretta.
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