Scatta la sanzione di cui all’art. 36, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2008 (cd. “T.U. salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”) anche qualora il datore di lavoro impieghi un lavoratore “in nero”, senza fornire adeguata informazione su una pluralità di aspetti concernenti la salute e la sicurezza sul lavoro.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41600/2019. Il caso riguardava il titolare di un ristorante condannato, in primo grado di giudizio, alla pena di 2.000 euro di ammenda, poiché aveva inserito irregolarmente nell’organico aziendale un aiuto cameriera. Il datore di lavoro, inoltre, non provvedeva a fornire informazioni:
La mancanza degli obblighi di informazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché l’assenza della comunicazione obbligatoria all’amministrazione finanziaria, erano emerse in seguito a un accesso ispettivo.
Alla luce di tale controllo, affermano i giudici di legittimità, il giudizio di responsabilità dell'imputato è stato fondato non sulle dichiarazioni del relato dell'ispettrice, ma solo su contenuti narrativi derivanti da una percezione diretta del teste.
Infatti, il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria non riguarda i dati di fatto direttamente percepiti dall'agente, tra i quali sono stati ricompresi anche gli stati emotivi delle persone osservate. Pertanto, l'utilizzabilità della testimonianza dell'ufficiale di polizia giudiziaria deve ritenersi a maggior ragione riferita anche alle reazioni della lavoratrice rispetto alle sollecitazioni finalizzate a verificare, in assenza di riscontri documentali, la conoscenza ad opera della stessa delle informazioni sulla sicurezza che avrebbe dovuto ricevere dal datore di lavoro.
Conseguentemente ed in conclusione, deve affermarsi la legittimità della deposizione del teste (ispettore del lavoro), dovendosi escludere un obbligo di verbalizzazione degli esiti scaturiti da quesiti esplorativi rivolti dall’ispettore del lavoro.
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