A fronte di un'istanza con cui il titolare di una concessione edilizia, ultimati i lavori, chiede rilasciarsi l’attestazione di abitabilità dei locali, il Comune esercita un potere vincolato ai presupposti di legge, da accertarsi con le dovute cautele tecniche, ma che non può essere ritardato, dilazionato o condizionato a fattori diversi dalla conformità del manufatto realizzato al progetto assistito ed alle regole della tecnica edilizia.
In altri termini il Comune, nell’esercizio di detto potere, è tenuto a verificare che l’immobile costruito rispetti le disposizioni in materia sanitaria, di abitabilità, di servizi essenziali e connessa normativa tecnica. Se può dunque ritenersi legittimo il diniego di abitabilità opposto dall’amministrazione in conseguenza delle deficienze igienico – sanitarie riscontrate nei locali, non può dirsi altrettanto, invece, quando il diniego – come nel caso in esame – trovi il proprio fondamento nell’inadempimento di obblighi cui il privato interessato si era convenzionalmente obbligato al momento di ottenere il titolo edilizio.
Siffatto diniego della certificazione di abitabilità da parte del Comune, è pertanto illegittimo e deve essere annullato, anche se l’inadempimento del privato agli oneri convenzionalmente assunti, priva di fondamento la sua domanda risarcitoria dei pregiudizi sofferti per l’incommerciabilità del locale – a causa del mancato rilascio dell’agibilità – trovando nella specie piena applicazione la regola civilistica riassunta nel brocardo “inadimplenti non est adimplendum”.
E’ tutto quanto si legge nella sentenza n. 567 del 4 settembre 2017, resa dal Tar per l’Umbria, Sezione prima.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".