Dimissioni per giusta causa nel periodo di prova: no a indennità di preavviso

Pubblicato il 22 giugno 2021

Chiarimenti della Corte di legittimità in tema di dimissioni connotate da giusta causa, durante il periodo di prova.

Recesso per giusta causa del lavoratore in prova

La Corte di cassazione ha confermato la statuizione con cui i giudici di merito si erano pronunciati nell’ambito di una causa instaurata ai fini del riconoscimento della giusta causa delle dimissioni comunicate da un dirigente a una società, durante il periodo di prova.

In ordine alle domande conseguenti a tale riconoscimento, la datrice di lavoro era stata condannata al risarcimento, in favore del lavoratore, del danno all'immagine, di quello biologico da inabilità temporanea e del danno retributivo.

Era stata, per contro, rigettata la domanda relativa al riconoscimento dell'indennità di mancato preavviso per anticipata risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale.

Il dirigente si era rivolto alla Suprema corte, per censurare la quantificazione del ristoro lui spettante, per come operata in sede di merito.

Danno retributivo ma non indennità di mancato preavviso 

Secondo la sua difesa, la Corte territoriale aveva errato nel liquidare il risarcimento, quantificandolo nella misura delle retribuzioni eventualmente spettanti sino alla concordata conclusione del contratto, senza considerare che è la legge stessa - e di rimando la contrattazione collettiva - a predeterminare l’indennizzo spettante qualora venga legittimamente esercitato il diritto di recesso.

A suo dire, ai sensi dell'art. 23 del CCNL per i Dirigenti delle aziende industriali, gli sarebbe spettata l'indennità di preavviso nella misura di otto mensilità.

Nel periodo di prova il rapporto di lavoro è a termine

Con ordinanza n. 17423 del 17 giugno 2021, la Sezione Lavoro della Cassazione ha giudicato infondata tale doglianza: il periodo di prova non può essere qualificato come un rapporto a tempo indeterminato, ma a termine.

Ciò premesso, era corretto che al prestatore fosse stata esclusa la debenza di un'indennità sostitutiva del preavviso, secondo quanto disposto dall'art. 2119, primo comma, c.c.

Al riguardo – hanno sottolineato gli Ermellini - la Corte costituzionale è più volte intervenuta sul patto di prova, evidenziando che: “il periodo di prova ha natura nettamente distinta da quella del contratto di lavoro a tempo indeterminato”, poiché “il contratto di lavoro nel periodo di prova, non seguito da assunzione, si configura come contratto a tempo determinato”.

Patto di prova, inadempimento è fonte di obbligazione risarcitoria

Giustamente, quindi, la Corte territoriale aveva concluso che, nella fattispecie - non potendosi configurare un’ipotesi di recesso legittimo ma di dimissioni connotate da giusta causa durante il periodo di prova - non fosse applicabile il disposto di cui al terzo comma dell'art. 2096 c.c.

Difatti, parte datoriale era responsabile delle dimissioni che avevano impedito al ricorrente “di condurre a termine l'esperimento”.

La risoluzione anticipata, in questo caso, equivaleva al mancato soddisfacimento dell'obbligazione a carico della società datrice per effetto dell'art. 2096 c.c., divenendo quell'inadempimento fonte di responsabilità contrattuale e di specifica obbligazione risarcitoria, atteso che, avendo le parti sottoscritto un patto di prova, le stesse erano tenute ad attuarlo per non dovere rispondere dei danni.

Correttamente, nella vicenda esaminata, era stato riconosciuto che si trattava di danno retributivo da c.d. “recesso ante tempus”, e ciò in conformità con gli arresti giurisprudenziali di legittimità, alla stregua dei quali “In caso di non giustificato recesso ante tempus del datore di lavoro da rapporto di lavoro a tempo determinato, il risarcimento del danno dovuto al lavoratore va commisurato all’entità dei compensi retributivi che lo stesso avrebbe maturato dalla data del recesso fino alla prevista scadenza del contratto”.

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