Sono utilizzabili, nella fase procedimentale, le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato anche in assenza di difensore e senza la somministrazione dell’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio.
Questo, qualora emerga con chiarezza che l’indagato medesimo abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione.
Dette dichiarazioni hanno, tuttavia, un perimetro di utilizzabilità ristretto, circoscritto alla fase procedimentale e, dunque, all’incidente cautelare ed ai riti a prova contratta, non avendo, per contro, alcuna efficacia probatoria nel dibattimento.
E’ quanto precisato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 14320 del 28 marzo 2018, con riferimento ad una vicenda processuale in cui un uomo, condannato per ricettazione, si era opposto alla decisione di merito lamentando che le dichiarazioni rese dal coimputato nell'immediatezza dell'accertamento del fatto –determinanti per affermare la sua colpevolezza – fossero, in realtà, inutilizzabili in quanto prestate senza le garanzie di legge.
Il relativo inquadramento come dichiarazioni "spontanee" – a suo dire - non risultava supportato da alcuna motivazione, né poteva trarsi semplicemente dalla qualifica che aveva assegnato loro la polizia giudiziaria; inoltre, la loro utilizzabilità non poteva essere giustificata per il fatto che si era proceduto con il rito abbreviato, posto si trattava di inutilizzabilità "patologica" e non correlata alla progressione processuale.
Motivi ritenuti infondati dalla Seconda sezione penale, la quale ha valorizzato il fatto che la Corte d’appello avesse inquadrato le dichiarazioni rese dall’indagato come “spontanee”, dopo aver valutato gli elementi disponibili e il fatto che le stesse venivano rese nell’immediatezza dell’accertamento e allo scopo evidentemente difensivo, ovvero in circostanze univocamente indicative dell’assenza di ogni sollecitazione di sorta.
Inoltre, nel gravame promosso dall’imputato, non erano state contestate le circostanze di fatto né erano stati sollecitati accertamenti funzionali alla verifica della spontaneità che, in coerenza con la struttura del rito abbreviato prescelto, era stata valutata sulla base delle evidenze disponibili.
Nel caso esaminato – hanno poi concluso gli Ermellini – la rinuncia al contraddittorio, effettuata attraverso la libera e consapevole scelta di definire il processo con il rito abbreviato, sulla base, quindi, delle fonti di prova raccolte unilateralmente dalla pubblica accusa, non contrasta con il diritto convenzionale, risultando coerente con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
Sul punto, la Suprema corte ha, in definitiva, affermato: “la rinuncia al diritto al contraddittorio effettuata volontariamente e spontaneamente, nei casi in cui l’imputato sceglie di definire la sua posizione con rito a prova contratta, non è in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Edu, come interpretata dalla Corte di Strasburgo”. Quest’ultima, in diverse e convergenti pronunce ha a sua volta riconosciuto la compatibilità di tale rinuncia con le garanzie della Convenzione Edu, così definendo un principio inquadrabile come “diritto convenzionale consolidato”.
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