Con la sentenza n. 27967 del 6 giugno 2017, la Corte di Cassazione si sofferma sul reato di dichiarazione infedele di cui all'articolo 4 del Dlgs 74/2000, specificando che tale reato a differenza delle altre fattispecie fraudolente di cui agli articoli 2 e 3 dello stesso provvedimento (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) si perfeziona solo con riferimento alla dichiarazione annuale ai fini delle imposte sul reddito e ai fini IVA e non anche con riferimento alle altre dichiarazioni contemplate nell'ordinamento italiano.
Pertanto, una dichiarazione integrativa in cui non sono stati annotati i ricavi prodotti in nero dall'imprenditore non risponde di dichiarazione infedele.
La sentenza n. 27967/2017, ha respinto il ricorso della Procura di Pordenone che era ricorsa in Cassazione contro la condotta di un contribuente (rappresentante legale di una Srl), che aveva presentato una dichiarazione integrativa, di quella già presentata, nella quale non figuravano elementi attivi per oltre 1,5 milioni di euro e, inoltre, venivano indicati costi non di competenza, non inerenti e non documentabili per circa 750.000 euro.
Dal momento che i suddetti livelli avevano superato entrambe le soglie di punibilità previste dalla normativa vigente nell'anno di presentazione della dichiarazione integrativa, all'amministratore era stata contestata una condotta che rientrava nella fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000.
Contro tale accusa, però, il GIP competete aveva pronunciato una sentenza di proscioglimento con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, dato che, ai fini della relativa integrazione, rileverebbe la sola presentazione della dichiarazione annuale.
Di qui il ricorso in Cassazione del Procuratore della Repubblica che aveva, tra le altre cose, evidenziato come la condotta del contribuente avrebbe dovuto essere valutata “complessivamente” tenendo anche conto della dichiarazione integrativa.
La Corte di Cassazione, nella sentenza del 6 giugno, specifica che il ricorso presentato è da considerare infondato, perchè anche a seguito delle modifiche alla normativa apportate dalla riforma fiscale operata dal Dlgs n. 158/2015, la fattispecie di dichiarazione infedele rimane correlata alle dichiarazioni “annuali”, a differenza di quanto accaduto con i reati di cui ai suddetti articoli 2 e 3 del Dlgs 74/2000, per i quali è stato esteso dal Legislatore l'ambio applicativo, con la soppressione dell’aggettivo “annuali”.
La Terza sezione penale della Corte, dunque, ribadisce che per l’applicazione della fattispecie della dichiarazione infedele, non si tiene conto della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza e della non inerenza. Tali presupposti non vengono presi in considerazione perchè a rilevare ai fini della fattispecie sono solo le dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e all’IVA.
Riguardo all’individuazione del momento consumativo del reato, la Corte ha poi sottolineato che si tratta di un delitto che integra un reato istantaneo, dal momento che lo stesso si perfeziona con la presentazione della dichiarazione annuale infedele, non rilevando, ai fini della consumazione, la circostanza dell'eventuale presentazione della dichiarazione integrativa.
Ne deriva che il dies a quo ai fini del calcolo del termine di prescrizione del reato si deve intendere decorrente dalla data della presentazione della dichiarazione annuale.
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