La Corte di cassazione, Terza sezione penale, con sentenza n. 891 depositata il 13 gennaio 2016, ha annullato la decisione di patteggiamento emessa dai giudici di merito nei confronti del titolare di un’impresa individuale a cui erano stati contestati i delitti di dichiarazione infedele e dichiarazione fraudolenta.
Nelle more del giudizio di legittimità, era stato emanato il Decreto legislativo n. 158/2015 (in vigore dal 22 ottobre 2015) di revisione del sistema sanzionatorio e modificativo, in particolare, dell’articolo 4 del Decreto legislativo n. 74/2000, sulla dichiarazione infedele.
I giudici di legittimità hanno quindi evidenziato che, poiché la dichiarazione infedele contestata al titolare risultava inferiore, nel quantum, alla soglia di punibilità oggi vigente (150mila euro), si imponeva l’annullamento della sentenza senza rinvio, per insussistenza del fatto, con trasmissione degli atti al Tribunale quanto al residuo reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Nell’individuare la formula assolutoria applicabile, la Suprema corte ha sottolineato di preferire “perché il fatto non sussiste” a quella “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, in quanto quest’ultima – si legge nel testo della sentenza – “va adottata là dove il fatto non corrisponda ad una fattispecie incriminatrice in ragione o di un’assenza di previsione normativa o di una successiva abrogazione in ragione della norma o di un’intervenuta dichiarazione di incostituzionalità”, permanendo in tutti tali casi la possibile rilevanza del fatto in sede civile.
La formula “il fatto non sussiste”, che elimina ogni possibile rilevanza anche in sede diversa da quella penale, va invece adottata “quando difetti un elemento costitutivo del reato, come nel caso in esame”.
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