Va escluso che violi il principio di correlazione tra accusa e sentenza, la decisione con cui l'imputato, accusato di avere, al fine di evadere le imposte, indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, venga condannato per l'utilizzo di fatture relative ad operazioni "parzialmente oggettivamente inesistenti".
Il reato di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000, infatti, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, oltre a non distinguere tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo, non distingue nemmeno tra le operazioni che sono totalmente o parzialmente inesistenti.
Una parziale, oggettiva inesistenza dell'operazione fatturata rientra pienamente "nel sintagma utilizzato dalla contestazione di reato".
Del resto, l'inesistenza in tutto o in parte delle operazioni fatturate appartiene, altresì, allo stesso lessico del Legislatore, che, all'art. 1, comma primo, lett. a), D. Lgs. n. 74/2000, dimostra di ritenere ipotesi "gemelle", dal punto di vista della rilevanza penale, le categorie dell'inesistenza totale o parziale delle operazioni rappresentate in fattura.
E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 43778 del 30 ottobre 2023, nel confermare la decisione di condanna di tre imputati, due dei quali erano accusati di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D. Lgs. n. 74/2000, per aver riportato, nella dichiarazione dei redditi annuali della società di cui erano legali rappresentanti, elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti.
Respinta, tra i motivi, la doglianza con cui era stata censurata l'asserita violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, atteso che la condanna in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta era riferita ad fatture per operazioni sovrafatturate "solo in parte" oggettivamente inesistenti.
La Suprema corte, sul punto, ha richiamato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l'imputato, accusato di essersi avvalso di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, sia stato condannato per l'utilizzo di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Ebbene - ha sottolineato la Quinta sezione penale di Cassazione - anche qualora la discrasia tra imputazione e condanna riguardi l'ipotesi di oggettiva, totale inesistenza e quella di oggettiva, parziale inesistenza - ovvero di "sovrafatturazione" qualitativa - non può dirsi che si giunga ad una diversa qualificazione giuridica.
Risulta immutato, invero, il nucleo di tipicità della fattispecie esaminata che, come detto, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo, centrando l'area di rilevanza penale sulla presentazione della dichiarazione recante "elementi passivi fittizi", avvalendosi di tali fatture per operazioni comunque inesistenti.
Nel caso esaminato, inoltre, il capo d'imputazione, correttamente, aveva fatto riferimento a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, anche se l'inesistenza oggettiva era stata parziale, per quanto molto consistente.
In definitiva, il motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato.
Ai fini della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza - si legge infine nella decisione - sono necessarie un'immutazione radicale del fatto non prevedibile e che siano stati lesi i diritti di difesa relativi, tutte circostanze non rilevabili nella vicenda in esame.
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