E' da ritenere contraria al diritto dell'Unione europea una prassi fiscale nazionale che neghi all'acquirente di un immobile nell'ambito di una procedura di vendita forzata, il diritto alla detrazione dell'Iva, in assenza di frode o di abuso di legge.
Lo ha riconosciuto la Corte di giustizia Ue con sentenza del 15 settembre 2022, relativa alla causa C- 227/21 instaurata tra una società e l'Amministrazione tributaria della Lituania, relativamente al diniego del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto a motivo di un asserito abuso di diritto commesso dalla prima.
Nell'ambito di tale procedimento, i giudici europei erano stati chiamati ad esprimersi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (direttiva IVA).
Il giudice del rinvio aveva chiesto, in concreto, se l’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA, letto alla luce del principio di neutralità fiscale, dovesse essere interpretato nel senso di impedire una prassi nazionale come quella in esame, posta in essere nell’ambito della vendita di un bene immobile tra soggetti passivi a seguito di una vendita giudiziale al pubblico incanto disciplinata dalla legge.
Prassi, questa, che consisteva nel negare all’acquirente il diritto di detrarre l’Iva assolta a monte per il solo fatto che questi sapeva o avrebbe dovuto sapere che il venditore si trovava in difficoltà finanziarie, oppure in uno stato di insolvenza, e che tale circostanza poteva comportare la conseguenza che il venditore medesimo non avrebbe versato o non sarebbe stato in grado di versare l’Iva all’erario.
Orbene, secondo la Corte dell'Unione, le autorità tributarie di uno Stato membro non possono legittimamente dedurre, dal mero fatto che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere delle predette difficoltà finanziarie del venditore e, conseguentemente, del possibile mancato versamento dell’Iva all’erario, che l’acquirente in parola abbia commesso un abuso di diritto, negandogli, pertanto, il diritto di detrarre l’Iva assolta a monte.
Detta prassi, inoltre, sarebbe contraria al principio di neutralità fiscale "dal momento che essa implica che gli acquirenti di beni immobili non sono legittimati a detrarre l’IVA assolta a monte in una vendita giudiziale al pubblico incanto, il che equivale a far gravare su di essi l’onere di tale imposta, mentre il principio di neutralità fiscale è inteso proprio a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche".
La Corte Ue, in definitiva, ha concluso evidenziando che l'art. 168, lettera a) della direttiva debba essere interpretato nel senso che esso osta a una pratica fiscale come quella in esame, da ritenersi non conforme alla normativa unionale.
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