Detenuti, cella non inferiore a tre mq
Pubblicato il 27 febbraio 2015
Confermata l’ordinanza con cui il magistrato di sorveglianza ha disposto che un detenuto fosse collocato in una
cella di superfice non inferiore a tre mq, pur se motivata in base alla sola
giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
E’ quanto ha statuito la Corte di Cassazione, prima sezione penale, con
sentenza n. 8568 depositata in data 26 febbraio 2015, respingendo il ricorso presentato dal ministero della Giustizia avverso l’ordinanza in questione.
Eccepiva in particolare il Ministero ricorrente, come il magistrato di sorveglianza, nel disporre l’assegnazione al detenuto di una stanza di almeno tre mq al netto di ogni arredo, avesse commesso una violazione di legge, spettando piuttosto alla legislazione nazionale (non richiamata nella presente ordinanza) definire le condizioni minime di carcerazione.
Ha sottolineato la Cassazione, in proposito, come in realtà non esista nessuna norma che stabilisca con precisione lo spazio vitale minimo al di sotto del quale sussiste un trattamento penitenziario inumano.
Infatti, né la Convenzione europea dei diritti dell'uomo – che si limita a vietare pene o trattamenti degradanti - né tantomeno l’art. 27 della Costituzione o la Legge 354/1975 in materia penitenziaria e relativi regolamenti, forniscono indicazioni specifiche in proposito.
Esiste tuttavia una
elaborazione giurisprudenziale da parte della
Corte europea dei diritti dell’uomo, che indica alcuni canoni e standard di riferimento, tra cui, per l’appunto,
il limite di tre mq quale spazio minimo vitale pro capite.
Ha dunque sottolineato la Suprema Corte, come nel caso di specie
non sussista alcuna violazione di legge - qui intesa come assenza o apparenza della motivazione- avendo il magistrato di sorveglianza
correttamente motivato la propria ordinanza in base alle
indicazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte EDU (e in particolare, dalla nota sentenza “Torreggiani”).