Detenute per reati ostativi. Sì all’assistenza esterna ai figli minori di 10 anni

Pubblicato il 25 luglio 2018

E’ incostituzionale l’art. 21-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 che, con riferimento alle detenute condannate alla pena della reclusione per uno dei reati ostativi, non consente l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ai 10 anni oppure lo subordina alla previa espiazione di una parte di pena.

Lo hanno stabilito i giudici della Corte costituzionale nella sentenza n. 174 del 23 luglio 2018.

Una madre di 3 figli, condannata per uno dei reati elencati all’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, L. n. 354/1975, ha chiesto all’amministrazione penitenziaria di essere ammessa all’assistenza all’esterno dei figli minori ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 354 del 1975, ma l’istanza è stata rigettata in quanto la detenuta non ha ancora espiato un terzo della pena, come previsto dall’art. 21, comma 1 della stessa legge. Il difensore ha dedotto l’illegittimità costituzionale della norma.

Infatti la disposizione censurata finirebbe infatti per contenere un “automatismo di preclusione assoluta” all’accesso al beneficio e impedirebbe al giudice, qualora non sia stata ancora espiata una parte di pena, di bilanciare le esigenze di difesa sociale con l’interesse del minore, pregiudicando il diritto di quest’ultimo a mantenere un rapporto con la madre all’esterno del carcere.

Si è di fronte ad un automatismo che sacrifica l’interesse del minore

I giudici hanno accolto la censura, sottolineando come la norma in discussione è stata introdotta per ampliare le possibilità, per la madre detenuta che non abbia ottenuto la detenzione domiciliare ordinaria o la detenzione domiciliare speciale, di provvedere alla cura dei figli, in un ambiente non carcerario, per un periodo di tempo predeterminato nel corso della giornata.

Viene richiamata la sentenza n. 76 del 2017 della stessa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui imponeva alle condannate per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis della medesima legge di scontare una frazione di pena in carcere prima di poter accedere alla detenzione domiciliare speciale, cioè ad altra misura finalizzata a garantire il rapporto tra la madre detenuta e il figlio in tenera età.

In questo caso il legislatore, tramite il ricorso a presunzioni insuperabili, nega l’accesso della madre a modalità agevolate di espiazione della pena, impedendo al giudice di valutare la concreta sussistenza, nelle singole situazioni, di esigenze di difesa sociale, bilanciandole con il migliore interesse del minore in tenera età. Si è di fronte, pertanto, ad un automatismo basato su indici presuntivi, che porta al totale sacrificio di quell’interesse.

Lo stesso  principio può essere affermato con riferimento all’accesso al beneficio dell’assistenza all’esterno ai figli di età non superiore agli anni dieci per le detenute per uno dei reati ex art. 4-bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario, la cui collaborazione con la giustizia sia impossibile, inesigibile o irrilevante.

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