Legittimo il licenziamento disciplinare comminato al lavoratore subordinato per aver aggredito sia verbalmente che fisicamente il datore di lavoro.
Con ordinanza n. 14667 del 9 maggio 2022, la Suprema corte ha confermato la decisione con cui la Corte di appello aveva ritenuto giustificato il licenziamento intimato da una Srl ad una propria dipendente alla quale, tra gli altri addebiti, era stata contestata l'aggressione verbale e fisica nei confronti del datore di lavoro, in presenza di terzi.
La Corte di gravame, dopo approfondita disamina delle deposizioni testimoniali e delle risultanze dell’esame, tramite CTU, delle celle telefoniche di alcuni testimoni, aveva ritenuto provati i fatti disciplinarmente addebitati nella lettera di contestazione, fatti integranti reato e, comunque, una delle fattispecie del CCNL applicato in azienda.
I giudici di secondo grado avevano tenuto in considerazione il contesto della vicenda, ritenendo, tuttavia, che il clima di pregressa elevata conflittualità tra dipendente e datore di lavoro non legittimasse la lavoratrice ad insultare apertamente ed immotivatamente il datore di lavoro, con oggettivo disvalore aziendale, e conseguente impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro a fronte della irrimediabile frattura del vincolo fiduciario fra le parti e "infausta prognosi di un ritorno alla normalità e al corretto adempimento degli obblighi di obbedienza, fedeltà, collaborazione intrinseci al rapporto di lavoro".
Conclusioni, queste, confermate anche dalla Corte di legittimità, alla quale si era rivolta la dipendente promuovendo ricorso per cassazione.
Per gli Ermellini, la Corte territoriale aveva dedicato ampia e approfondita motivazione per illustrare le ragioni della sussistenza dei fatti contestati: in particolare, aveva ritenuto provate sia la falsità delle giustificazioni rese dalla ricorrente con riguardo al primo addebito disciplinare contestato - ovvero l'attribuzione di dichiarazioni false alle colleghe - sia l’aggressione nei confronti del datore di lavoro, di cui al secondo addebito disciplinare.
In riferimento al primo episodio era stata rilevata “l’oggettiva modestia del disvalore intrinseco alla condotta posta in essere”.
Relativamente, invece, alla seconda condotta era stato messo in evidenza, come detto, l'“oggettivo disvalore aziendale" che ne era derivato, del tutto incompatibile con la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Nel contesto che ne era emerso, l'applicazione di sanzioni conservative non risultava adeguata a soddisfare gli opposti interessi, mentre il licenziamento era da ritenere proporzionato alla gravità dei complessivi fatti addebitati.
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