Danno da ritardo della P.a.

Pubblicato il 18 aprile 2017

Responsabilità p.a. Non consegue automaticamente al ritardo o silenzio

La domanda, rivolta alla pubblica amministrazione, di risarcimento per danno da ritardo, deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c.; per cui, nell'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità, l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo. E’ il danneggiato che deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda ed, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).

In altre parole, al fine del necessario accertamento della colposità dell’inerzia, la cui dimostrazione incombe sul danneggiato, non è sufficiente la sola violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, poiché tale violazione di per sé non dimostra l’imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità della fattispecie o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’amministrazione, escludere la sussistenza della colpa.

Conta anche la condotta dell’istante

Il comportamento della P.a. deve essere valutato unitamente alla condotta dell’istante, il quale riveste il ruolo di parte essenziale ed attiva del procedimento ed, in tale veste, dispone di poteri idonei ad incidere sulla tempistica e sull’esito del procedimento stesso, attraverso i rimedi amministrativi e giustiziali riconosciutigli dall’ordinamento giuridico (tra cui il rito del silenzio, che deve essere attivato con tempestività, altrimenti rilevando in ordine all’accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile.

Inerzia p.a. Istante ha i poteri per reagire

Lo stesso interessato deve dunque attivarsi al fine di reagire all’inerzia dell’Amministrazione, con la conseguenza che, secondo consolidata giurisprudenza “solo in caso di persistente inerzia a seguito dell’attivazione di poteri sostitutivi o del rito del silenzio, detta procedura può configurarsi la lesione del bene della vita risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e di buona fede che devono caratterizzare lo svolgimento del rapporto tra soggetto pubblico e privato”.

E’ quanto enunciato dal Tar Sicilia, Sezione staccata di Catania, con sentenza n. 445 del 6 marzo 2017.

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