Crisi d’impresa. Cndcec, compatibilità tra direttiva Ue e Codice italiano

Pubblicato il 08 giugno 2019

Una prima lettura della nuova direttiva europea, di modifica della direttiva sull'insolvenza, conferma l’assoluta coerenza dei principi ispiratori del Codice della crisi d’impresa italiano.

È quanto rilevato dal delegato Cndcec all’attività Internazionale, Alessandro Solidoro, che, con un intervento diffuso dalla stampa, avvisa: “Le indicazioni di tempi stringenti di alcune fasi della procedura, sia da parte della norma europea da un lato e di quella italiana dall’altro, suscita preoccupazione negli operatori, nel momento in cui l’efficienza dei soggetti deputati al governo della crisi tardasse ad essere raggiunta o la cultura della gestione dei propri diritti da parte dei creditori qualificati non si orientasse rapidamente verso la prevalente valutazione della convenienza economica delle proposte di ristrutturazione avanzate dal debitore”.

Due i punti di contatto tra regole europee e normativa italiana sulla crisi d'impresa.

Adottare gli strumenti di allerta precoce in funzione delle dimensioni dell’impresa

Il delegato Cndcec spiega che il 6 giugno scorso, il Consiglio dell’Ue ha adottato la direttiva sui ‘quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione, le interdizioni e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione di insolvenza ed esdebitazione’, modificando la direttiva Ue 2017/1132 in materia di insolvenza.

La finalità è di consentire agli imprenditori sani in difficoltà finanziaria di accedere ad istituti che consentano di continuare a operare e a quelli onesti e insolventi di beneficiare in termini ragionevoli di una seconda opportunità, anche con una riduzione della durata delle procedure concorsuali.

Gli strumenti di ristrutturazione tempestiva possono prevenire l’accumulo di crediti deteriorati e il legislatore europeo è consapevole che le soluzioni preventive sono una tendenza in crescita nelle legislazioni degli Stati membri, favorendo il risanamento a discapito dell’approccio liquidatorio.

La direttiva sottolinea l’importanza di meccanismi di allerta che, ad esempio, possono essere attuati quando il debitore non ha effettuato alcuni pagamenti, come imposte o contributi, e si pone, come dovrebbe fare il legislatore nazionale - commenta il delegato Cndcec - il tema della proporzionalità rispetto alle dimensioni dell’impresa.

Pertanto, è sancito il principio per il quale gli Stati membri dovrebbero essere in grado di adottare gli strumenti di allerta precoce in funzione delle dimensioni dell’impresa.

Indurre il debitore a chiedere tempestivamente la ristrutturazione del debito

Per indurre il debitore a chiedere tempestivamente la ristrutturazione del debito, la direttiva sottolinea l’opportunità che i debitori mantengano il controllo dei loro attivi e della gestione corrente dell’impresa. L’intervento di un professionista esperto di ristrutturazione dovrebbe essere obbligatorio quando sia concessa una sospensione generale delle azioni esecutive individuali o quando esistono altre condizioni specifiche, come il pagamento parziale dei debiti.

La rilevanza della fase preventiva di redazione del piano e di trattativa sembra restituire un ruolo adeguato all’istituto del concordato in bianco, che l’attuale normativa nazionale ha fortemente limitato.

Ma c’è un elemento di criticità: la direttiva invita gli Stati membri a prevedere che la sospensione delle azioni esecutive possa essere accordata, salvo casi particolari, per un periodo di quattro mesi, estendibile fino a un massimo di dodici mesi.

Si inserisce, sul punto, l’esperienza nazionale, che vede il termine di quattro mesi in genere incompatibile sia con le esigenze procedurali che con i tempi ordinari dei meccanismi decisionali dei soggetti coinvolti.

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