L’Italia, non assicurando che la Pubblica amministrazione rispetti effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni, è venuta meno agli obblighi comunitari in materia di transazioni commerciali.
E’ quanto sancito dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia UE con sentenza depositata ieri, 28 gennaio 2020, relativamente alla causa C-122/18, promossa dalla Commissione europea contro la Repubblica italiana.
La ricorrente Commissione, in particolare, aveva domandato alla Corte di dichiarare l’inadempimento, da parte del nostro Paese, degli obblighi su di essa incombenti in forza della direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e, in particolare, a quelli di cui all’articolo 4 di tale direttiva, dedicato alle transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni.
Ai sensi di quest’ultima disposizione, in particolare, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione il periodo di pagamento non superi i 30 giorni, a decorrere da circostanze di fatto espressamente elencate.
Tale termine – dispone ancora la norma – può essere prorogato fino ad un massimo di 60 giorni:
In proposito, i giudici europei hanno rilevato che l’Italia, avendo omesso ed omettendo, tuttora, di assicurare il rispetto, da parte delle pubbliche amministrazioni, di questi termini di 30 o 60 giorni per il pagamento dei loro debiti commerciali con le imprese private, sia venuta meno agli obblighi comunitari di cui alla direttiva 2011/7/UE.
La Corte UE, nel dettaglio, ha così concluso: “Non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni”.
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